cop. 49racconti-Hemingway.

(Foto di Antonio G. Bortoluzzi)

Era da un po’ che provavo a scrivere quando ho incontrato I quarantanove racconti di Hemingway.
Ricordo che era il gennaio del 2002 e stavo in un vecchio ospedale di Feltre per assistere un familiare ricoverato, non era un bel momento. Verso mezzogiorno sono uscito per fare due passi, mangiare un panino, prendere un caffè, stare lontano dalle flebo, dai letti in metallo, dalle piastrelle in gres e dai gemiti. Ho visto una libreria, sono entrato, ho girato un po’ a caso e ho notato il libro; sapevo dei romanzi di Hemingway, della sua fama, del Nobel e oltretutto mi sembrava che il prezzo fosse molto buono per tutti quei racconti: 14.000 lire, negli ultimi giorni della moneta italiana.
Sono ritornato in ospedale, non avevo un granché da fare sulla sedia a ridosso del termosifone, e ho iniziato a leggere come faccio io la prima volta che ho un libro in mano: in modo veloce e senza gustare le parole fino in fondo. Ho letto la prefazione a firma dell’autore e il primo racconto La breve vita felice di Francis Macomber. Molto bello. Ho riletto la prefazione con più attenzione, era datata 1938 e Hemingway parlava con semplicità della raccolta che conteneva lavori scritti dal ’21 al ’38; dei luoghi dove erano stati scritti, dei posti buoni per scrivere, di un racconto che oltre a lui non era piaciuto a nessuno e concludeva dicendo di conoscere altri racconti “bellini” e di voler vivere abbastanza per poterli scrivere. Ho pensato che sembrava un testo scritto di recente, non più di sessant’anni prima. Ma ad avermi colpito era un’altra cosa: finalmente incontravo uno scrittore che parlava dello scrivere da persona normale; non da invasato, da tuttologo, da predicatore. Nella brevissima nota non si nominava nemmeno la parola arte. Questo scrittore mi è sembrato solo un uomo che faceva una cosa che amava, al meglio che poteva.
A casa ho continuato a leggere fino a tardi; la sera successiva ho ripreso il libro (in ospedale le cose andavano meglio) e sono arrivato fino a Campo indiano: era la storia di un ragazzino, del padre dottore, del parto difficile di una donna indiana e di un uomo che alla fine si taglia la gola. Appena finito l’ho riletto, e quindi una terza volta. Non mi era mai successo; ero emozionato e stordito. Ho continuato a leggere tutti i racconti nei giorni successivi e rileggerli, come Grande fiume dai due cuori, che mi ha dato una pace piena o Insonnia che mi ha fatto desiderare di dormire una notte con i bachi da seta.
Sono passati altri anni prima di sapere che nei manuali di narratologia è sempre citato il racconto Colline come elefanti bianchi, per dire del narratore nascosto al massimo grado; oppure di conoscere la teoria dell’iceberg (per cui il movimento di una storia, come di un iceberg nell’oceano, dipende dalla massa immersa e non visibile e non da quanto si vede in superficie); o scoprire che la vicenda narrata in Campo indiano non è accaduta davvero a Hemingway.
Poi ho scoperto (ma forse ero uno dei pochi a non saperlo) che altri maestri, come Rigoni Stern e Calvino, hanno attribuito allo scrittore americano il ruolo di ispiratore e maestro di stile (per loro stessi e un’intera generazione). Queste sono cose importanti e si imparano studiando sui libri che parlano di libri o andando a scuola.
Però per quanto mi riguarda c’è soprattutto un sentimento che ritrovo intatto ogni volta che leggo I quarantanove racconti; la voce del sentimento fa grossomodo così: costruisci una storia al meglio che sai, rimanici dentro come fosse la tua unica pelle, tutto il resto conta meno. E questa cosa mi accompagna sempre, anche quando scrivere sembra faticoso, esaltante o inutile.

I quarantanove racconti, E. Hemingway, traduzione di V. Mantovani, introduzione F. Pivano;
Quando scopersi Hemingway, M.R. Stern nella raccolta Tra due guerre e altre storie;
Il sentiero dei nidi di ragno, I. Calvino,prefazione del 1964.

ANTONIO G. BORTOLUZZI è nato in Alpago, Belluno, nel 1965 dove vive con la famiglia. Ha pubblicato nel 2015 il romanzo Paesi alti (Ed. Biblioteca dell’Immagine) terzo classificato alla tredicesima edizione del premio letterario del CAI Leggimontagna. Nel 2013 ha pubblicato il romanzo Vita e morte della montagna, preceduto nel 2010 dal romanzo per racconti Cronache dalla valle (Ed. Biblioteca dell’Immagine). Finalista e quindi segnalato dalla giuria del PREMIO ITALO CALVINO nelle edizioni XXI e XXIII è membro accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna).

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