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La lotta silenziosa di un padre e di un figlio

di Elisa Ruotolo

Viene da lontano e promette di non aver fine la guerra tra padri e figli”, scrive Saramago nel suo Vangelo secondo Gesù Cristo. E anche l’ultimo romanzo di Pietro Grossi (Il passaggio, Feltrinelli, pp. 160, euro 15), sembra venire da lontano forse perché racconta con mezzi nuovi una storia antica, eterna, che non smetterà mai di tormentarci. Sin dalle prime pagine veniamo introdotti in un campo di battaglia in cui la quiete è solo apparente, e il silenzio attende l’occasione giusta per andare in frantumi. Essa arriva sotto forma d’una telefonata che sembra riagganciare il passato: il binario morto ritrova improvvisamente vita nella corsa di un treno imprevisto. Che fa rumore. Fa trambusto. E disorienta. Dall’altra parte del telefono e forse della vita c’è un padre che chiede aiuto e minimizza una distanza consolidata (che non è fatta solo di chilometri: nei romanzi di Grossi ci sono sempre significati ulteriori, sarebbe un errore fermarsi all’evidenza). Un padre insolito, ramingo, direi quasi randagio per quel senso di libertà morale che lo accompagna (un tempo si è arrogato il diritto di mostrare tutta la sua sfiducia riguardo la procreazione), per l’incuria con cui contamina ogni vita che gli si accosti. Carlo, suo figlio, si è sottratto a questo contagio e il suo distacco sarà duro da scalfire: solo il mare riuscirà a sedurlo ancora. Perché se c’è un protagonista, ora silente ora urlante, è proprio lui: il mare. Che resta sullo sfondo finché non si sveglia quasi a dimostrare la nostra piccolezza. Il nostro essere niente, se non siamo capaci di ricucire gli strappi e di crescere. Il passaggio è una storia che ci assomiglia e ci riguarda, perché racconta come siamo realmente: nudi e soli con tutte le nostre mancanze irrisolte, tutti i nostri testardi abbandoni di cuore. Ma non si ferma a questo, ed è la sua grandezza. È una storia di rinascita, di ricongiungimenti e di comprensione: un ritrovarsi nonostante tutto il tempo che si era frapposto, esso sì come un mare, finalmente transitabile. Una guerra che promette di non avere fine, forse, ma che sa trovare la sua tregua. La sua grazia. Basta saperla raccontare.