Il giornalista e scrittore Giulio Caprin (1880-1958), nell’agosto del 1946, era inviato speciale a Parigi per il quotidiano «La Stampa». Lì ebbe l’occasione di incontrare Alberto Tallone, allora giovane bibliofilo che da quasi otto anni aveva fondato una propria casa editrice, dopo aver svolto un prestigioso apprendistato nelle botteghe dei celebri tipografi Léon Pichon e Maurice Darantiere. Lì, Giulio Caprin conosce da vicino l’atelier tipografico, con la sua inarrivabile collezione di caratteri di ‘cassa’ (tutti sbalzati a mano, molti provenienti dalla collezione dello stesso Darantiere), di colui che sarebbe diventato uno dei più raffinati artigiani dell’editoria italiana del Novecento (dopo gli anni parigini, Tallone tornerà in Italia, ad Alpignano, dove ancora oggi ha sede la casa editrice).
Il 1946 fu, tra le altre cose, l’anno in cui Tallone diede alle stampe, per conto della Nouvelle Revue Française di Gallimard, L’Ange di Paul Valéry: un vero capolavoro dell’editoria, oggi – e già allora – una rarità bibliografica di una bellezza definitiva. Anche di questo Giulio Caprin ci parla, raccontando come andarono le cose, come Valéry s’innamorò dei fogli mirabilmente spaziati di Tallone, come il poeta trovò che quel modo di comporre la pagina entrasse in profonda comunicazione col suo fare poesia.
Qui di seguito, quindi, il resoconto di quella visita avvenuta più di settant’anni fa. Il titolo originale dell’articolo era Nella tradizione di Bodoni.
Da «La Stampa» di giovedì 12 agosto 1946
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Le librerie di Parigi passano il migliaio. Specialmente quelle della Riva sinistra, tra la Senna e il Lussemburgo, non sono soltanto spacci di libri ma anche luoghi di culto intorno al libro. Non grandi, più che la quantità curano il raccoglimento. Quasi tutte, nelle vetrine, più in vista del libri correnti, presentano libri di grande formato, stampati in esemplari numerati su carte di lusso, illustrati nel testo o intercalati di disegni e di acqueforti, combinazioni di più arti, prodotti di gran prezzo per bibliofili signori.
Sia passione d’arte o semplice snobismo, il libro bello e ricco, ha resistito alla guerra, anzi ne ha tratto fortuna. Quando, anche in Francia, gli arricchiti di occasione compravano di tutto, magari col segreto pensiero di rivendere, ci sono stati dei camionisti che hanno comprato libri di arte. Ora il mercato è fiacco, ma gli editori continuano a produrre, per la ripresa. Il libro che, indipendentemente dal suo contenuto, è un bell’oggetto, dà piacere anche a chi non lo leggerà, è merce di esportazione.
Si può discutere se questi libri sontuosi sono sempre dei bei libri. A volte le illustrazioni che li arricchiscono sono sovrapposizioni arbitrarie. Il bibliofilo puro chiede la bellezza alla pura stampa su carta a mano, alla armonia intrinseca fra i caratteri e la composizione, a un equilibrio intrinseco che è quasi architettura e musica.
Paul Valéry, in una delle sue ultime scritture miscellanee, racconta che un giorno, mentre stava componendo una cantata in alessandrini, andando all’Accademia, l’occhio gli si posò sopra una grande pagina di versi nobilmente stampati. «Avvenne allora un singolare scambio fra me e questo pezzo di nobile architettura. Ebbi l’impressione di essere ancora davanti al mio abbozzo e mi misi inconsapevolmente, per una lunga frazione di minuto, a tentare, sul testo affisso, dei cambiamenti di termini. Ma il testo non si lasciava smuovere. Fedra mi resisteva…»
Il pezzo di nobile architettura tipografica, definitiva come erano definitivi i versi di Racine trascritti, che aveva fermato l’occhio penetrante ogni bellezza di Valéry, era una pagina dell’edizione della Fedra, bella come scolpita su marmo, fatta a Parigi da un italiano artefice della stampa pura.
Questo tipografo, Alberto Tallone — uno dei figli del grande pittore che fu Cesare Tallone — ha in questo momento la soddisfazione di stampare lui, in una plaquette di pochi esemplari, che sarà una rarità bibliografica, l’ultimo canto, un canto in prosa, che Valéry ha scritto prima di morire, L’Auge. Sono periodi quintessenziati, «nei quali par di indovinare come un testamento del suo spirito. L’Angelo — la parte spirituale e intellettiva dell’uomo — vede se stesso riflesso, in una fontana, netta figura di un uomo che piange: sicuro, com’è l’angelo, che per l’intelligenza anche il dolore non è che un problema, si stupisce di vedersi e di sentirsi piangere. Concetto alto, ma arcano. Pare di riuscir meglio a penetrarlo, inciso periodo per periodo, con il suo ritmo segreto, in questa stampa spaziata, solenne, chiara. La tipografia è un’arte materiale, ma quando, con la nobiltà dei caratteri e delle proporzioni accompagna un testo difficile, aiuta anch’essa a farne trasparire lo spirito.
Alberto Tallone, questo italiano che, avendo in mente Manuzio e Bodoni, tratta la tipografia come un’arte bella, lavora come un artigiano antico nella sua singolare officina a Parigi, in una strada popolare dietro la Bastiglia. Varcato l’umile portone sulla strada, appare nel cortile la facciata a colonne di un palazzetto del Seicento, classico. È l’antico hotel de Sagonne, che l’architetto più famoso del grande secolo francese e di Luigi XIV, si costruì per sua abitazione, mentre edificava Versailles. Si vuole che ci dimorasse anche Ninon de Lenclos e che nelle sue sale Molière le leggesse il Tartufo. Certo quelle stanze di bottega artigiana mantengono un’antica signorile struttura.
Tallone aspira ad essere il nobile tipografo del più nobili libri di ogni tempo. Oggi richiama alla cultura, oltre che alla bibliografia, uno dei più singolari romantici francesi, Gérard De Nerval. Les confidences de Nicolas, un libero studio su quell’originale uomo e scrittore che fu, nel Settecento, Restif de la Bretonne, possono passare per l’archetipo di quelle che sono poi state le biografie romanzate. Ed ecco, appena sfornata, dello stesso Nerval la traduzione in prosa delle poesie di Enrico Heine. I sedicesimi oblunghi in carta a mano sono appena cuciti, le copertine, piegate a millimetro, pronte. Quante prove solo per comporre un titolo che risulti in ogni sua parte equilibrato sopra una copertina: riuscire evidente evitando ogni volgarità avventante!
L’artiere, agile, giovanile, sensibile a tutto, brioso e coraggioso in una vita che è stata di avventura e di fatica, di nulla si compiace più che di un libro riuscito schietto, in cui deve sparire la ricchezza materiale e solo valere una sobria armonia. È che lui, prima di comporli, penetra nei suoi testi, ne è il copista devoto e intelligente. Il potere magico del libro opera anche su chi ha solo da materialmente ripeterlo, se in lui è spirito di artista. Sostenuto da codesta magia, oltre che dall’amore per il mestiere, questo artiere è riuscito a lavorare quasi clandestinamente, anche quando ogni opera e ogni vita a Parigi erano minacciate dalla presenza dei tedeschi, e gli italiani erano sospetti tanto ai francesi quanto ai tedeschi. Anche sui libri d’arte i Fritz allungarono le unghie: ma i libri d’arte da loro preferiti erano quelli che fossero anche pornografici.
Tallone ha l’ambizione di farne per gli intendenti di un libro d’arte che sia puro in tutti i sensi: le sue edizioni numerate ne trovano quanti bastano a un artigianato di qualità. Italiano in Francia, egli lavora, secondo il suo stile, per un mondo ideale di tutte le patrie che mantengano una comune tradizione umanistica. Ci sono segni confortanti che questa tradizione non sta per finire. Quella del bel libro si è salvata forse anche per la rarità del suo prodotto; rimane, affermando in un mondo meccanico la bellezza propria di ciò che non è meccanico. L’artiere nella sua officina vuole servire i nobili autori di ogni nobile tempo. Ora egli si accinge a stampare gli antichi Lais francesi di Maria di Franica, ma anche il Don Chisciotte e la Certosa di Parma di Stendhal e le Rime di Gino da Pistoia. Un tipografo d’arte può essere eclettico e indifferente alla moda del giorno. Sono tutti autori sicuri quelli che egli stampa, con l’ambizione di ripresentarli in veste tale che, se quelli potessero rileggersi, così nobilmente presentati, ne sarebbero assai contenti. È l’approvazione ideale che fa più piacere al maestro tipografo che lavora con le sue mani accanto a quelle dell’operaio.
È un riposo degli occhi e dello spirito passare qualche ora nella stamperia raffinata e artigiana in cui, fra i bei libri nelle vetrine e stampe antiche alle pareti, lavora e vive, un po’ bohème e un po’ antiquario, questo italiano entrato nella casa in cui conversò Ninon de Lenclos e Mansart lavorò per il grande re di Francia. Ma a due passi è la colonna repubblicana dove fu la Bastiglia, e il vicinato tutto popolare vede soltanto un artigiano al lavoro.