Allora, guardando meglio, distinsi nella rete aggrovigliata dei rami la testa e il corpo della creatura selvaggia che avevo visto bere poco prima. Girò la testa verso di me. Mentre si voltava a fissarmi dall’ombra degli alberi, i suoi occhi presero un riflesso verde, che sparì quando distolse lo sguardo. Rimase immobile per un istante e poi, senza far rumore, cominciò a correre attraverso l’intrico di frasche. Un attimo dopo era scomparsa dietro i cespugli. Non potevo vederla, ma sentivo che si era fermata e che mi stava ancora spiando. Che cos’era? Un uomo o una bestia? Che cosa voleva da me?

 

Mi verrebbe da dire che Wells sia un grande autore facile da tradurre, un autore molto chiaro.
La sua prosa è lineare, precisa, il climax si costruisce attraverso un periodare tecnico, documentale, esauriente. Questo crea nel sottofondo una nota dissacrante e ironica, presente anche nei passaggi più paurosi.

L’Isola del Dottor Moreau (Nuova Editrice Berti, 2017) è un tipo particolare di romanzo d’orrore, un orrore in parte distaccato, teorico – ovunque tranne che nel finale. Per me che venivo da un’altra traduzione d’orrore – di H.P. Lovecraft, sempre per Nuova Editrice Berti – è stato piacevole notare l’estrema differenza con cui questi due autori, altrettanto importanti, costruiscono le loro trame di paura. Lirico e arcaneggiante Lovecraft, cinematografico e moderno Wells.
Si nota anche dallo stile come sia uno dei padri della fantascienza, e come anticipi, dall’Inghilterra vittoriana, l’arrivo del Novecento.
La prima stampa dell’Isola del Dottor Moreau è del 1897, per la casa editrice londinese Heinemann. Wells l’aveva terminata l’anno precedente.

Ha soltanto trentun anni ed è già famoso, la consacrazione è avvenuta due anni prima, quando è uscito La Macchina del tempo. L’Inghilterra esalta le sue sorprendenti visioni futuristiche e la sua pungente critica sociale, caratteristiche su cui si formerà molta della fantascienza moderna e che si riconoscono anche nell’Isola.
Dico questo con particolare soddisfazione perché dimostra che la fantascienza – genere che amo molto – può avere grandi autori, grandi soprattutto nel loro essere di fantascienza. È un dato su cui non c’è sempre (stato) accordo e per cui molti scrittori, Lovecraft tra questi, hanno penato e sofferto.
Non Wells, fortuna sua.

Spesso, e anche qui, Wells ci mette in guardia sui pericoli di una fiducia troppo positiva nella scienza e nella sua capacità di creare progresso e benessere. Lo fa con metodo scientifico, costruendo “il romanzo scientifico”, come verrà chiamato, e con una nota di ironia strisciante.

Mi ha fatto piacere scoprire che per questo era molto amato anche da chi di fantascienza non si è mai interessato: qualche decennio dopo Francis Scott Fitzgerald lo descriverà come uno degli autori inglesi più importanti di quel periodo (Wells era ancora vivente) e fu molto amato da Joseph Conrad e da James Joyce, scrittore ai suoi esatti antipodi.
Venne candidato al premio Nobel ben quattro volte.

Wells però amava il suo tempo e l’Inghilterra vittoriana – su cui ha scritto pagine esilaranti e che ritorna nei suoi romanzi futuribili e anche nell’Isola del Dottor Moreau, che ha comunque una struttura classica e usa il vecchio – ma felice – escamotage del manoscritto trovato in una bottiglia.

Un romanzo d’orrore che è stato un piacere vedersi dipanare, quasi naturalmente, sotto ai miei occhi; sia classico che moderno, scientifico, spesso ironico, ma con una sua cocente cupezza, da cui traspare la reale preoccupazione di Wells, uomo di lettere e di scienza, che lo rende a tutt’oggi una sempre attuale fonte di inquietudine, capace di generare sempre nuovi interrogativi.

“Si dice che il terrore sia una malattia”…

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Silvia Lumaca traduce dall’inglese e dal francese. Per Nuova Editrice Berti ha tradotto Un principe della Bohème di Honoré de Balzac, I bambini avranno sempre paura del buio e La maschera di Innsmouth di H.P. Lovecraft,L’isola del dottor Moreau di H.G. Wells e ha in preparazione Il terrore di Arthur Machen.

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