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Joshua Redman si sta giustamente sempre più allontanando dallo stile mainstream che caratterizza il debutto a metà Ninenties quando viene accostato ai ‘giovani leoni’ del nuovo hard bop come Wynton Marsalis, decisi a contrastare il ‘vecchio’ free con il ritorno alle classiche forme del jazz medesimo. Joshua invece in questi ultimi tempi, pur senza rinnegare i propri recenti trascorsi, sembra prender le misure del linguaggio sperimentalista che, in quanto figlio d’arte (il padre Dewey Redman anch’egli tenorista è colonna portante dei gruppi di Ornette Coleman e Keith Jarrett negli anni Sessanta e Settanta), ascolta fin da giovanissimo, pur con il genitore sempre in tournée. Il percorso, come mostra questo Trios Live uscito nel 2014 (Nonesuch), ma registrato fra il 2009 e il 2013, ‘in diretta’, presso due locali importanti per ascoltare i veri jazzisti come il Blues Alley di Washington e il Jazz Standard di New York. In entrambi i casi Joshua è in trio con il fido batterista Gergory Hutchinson, mentre al contrabbasso chiama prima Matt Penman, poi Reuben Rogers: il modello o il referente per queste due formazioni minimali sono il già citato Ornette e Sonny Rollins, dove entrambi i sassofonisti danno il meglio di sé portando l’improvvisazione fino ai limiti estremi, con spinte generose, torrenziali, lancinanti sul piano della ricerca strumentistica, un po’ come accade a Redman che si concentra su standard canzonettistici navigati da Mack The Knife di Kurt Weill a Never Let Me Go di Evans & Livingstone oppure recuperando Trinkle Tinkle di Thelonius Monk o addirittura The Ocean dei Led Zeppelin; gli altri tre pezzi centrali sono tutti a forma di Joshua: Soul Dance, Act Natural, Mantra # 5 sono tra i più celebri del repertorio personale, che dimostrano altresì notevoli capacità scrittorie, benché questo live sia un disco votato all’insistito virtuosismo dell’improvvisazione ai sax sia tenore sia soprano.