La memoria della cenere Marchelli malengo Verri blog.jpg

di Lucia Malengo

Ho letto La memoria della cenere di Chiara Marchelli dapprima lentamente, a piccoli passi, poi pian piano ho cominciato a sentire un certo fastidio per le necessarie interruzioni nella lettura. Il libro procede per accumulo: di frasi brevi, di oggetti, di immagini… L’attenzione in questo modo è sempre attratta da particolari dell’esistenza quotidiana, che alla prima apparenza è stabile e monotona, ma sulla quale qualcosa di pericoloso aleggia. La protagonista, che ha lasciato da poco New York col proprio compagno Patrick per trasferirsi nel paese natio di questi nell’Auvergne, è appena riemersa da una grave malattia e da un lungo periodo di degenza in ospedale: un aneurisma cerebrale ha messo in serio pericolo la sua vita, ma fortunatamente e quasi miracolosamente ne è uscita senza menomazioni fisiche o psichiche. Nella sua quotidianità, accanto alla presenza mirabilmente accudente di Patrick, sono entrati nuovi concetti e nuove parole, che lei accumula diligentemente nella narrazione: infermieri, neurologa, pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, Glasgow Coma Scale, angiografia, emorragia subaracnoidea, embolizzazione…. Si accumulano poi frammenti di conversazioni, che la tecnica del discorso indiretto libero rende parte di una vita quotidiana assestatasi sulla nuova situazione. Sono soprattutto frasi dei medici, di Patrick, del padre e della madre di lei. In realtà la malattia ha collocato la protagonista in una condizione di sorvegliata speciale, seguita incessantemente dagli occhi attenti del suo compagno prima e dei suoi genitori poi, quando dall’Italia la raggiungono in Auvergne per una vacanza che dovrebbe essere breve. Tutto è normale in questa convivenza: la bravura in cucina di Patrick, la scelta dei vini, i consigli della mamma, il primo caffè del mattino in una tazzina un po’ sbrecciata, l’attenzione del padre agli eventuali sintomi di debolezza della figlia e a quelli di invecchiamento della moglie… E tuttavia un po’ di inquietudine serpeggia nella protagonista, che si sforza di rassicurare tutti, per uscire il prima possibile dalla condizione di sorvegliata speciale, e nello stesso tempo osserva con triste sorpresa i primi segni di declino fisico dei genitori, la loro nuova fragilità, qualche improvvisa zona d’ombra nel carattere di Patrick… La narrazione passo a passo costruisce nel lettore un presentimento, prima vago, poi sempre più inquietante, che cresce col brontolio del vicino vulcano, il Puy de Lúg, fino all’inevitabile eruzione. Ma è chiaro che l’eruzione che sconvolge la vita del villaggio e del territorio fa da specchio ai sommovimenti che irrompono nella vita privata e personale della protagonista: il passato, i ricordi, i desideri rimossi, le paure, i sospetti erompono in lei con altrettanto fragore, in una specie di “fiotto” di coscienza parallelo a quello della lava. Ed infatti questo avviene nel pieno dell’eruzione vulcanica, in una camminata contro vento, cenere e pioggia: “Non mi fermo: arretro, sbando, proseguo”, sintetizza lei. Eppure proprio in questa “caligine violenta”, nell’accumularsi ancora una volta di immagini antiche e recenti, appare la strada, quella dei ricordi di una vita, che affiorano disordinatamente a ricomporre una storia, ma anche quella che porta dritto ad affrontare i dubbi e il non detto dell’oggi. Insomma, solo arretrando, sbandando, proseguendo si può sperare di trovare un nuovo senso, si può riuscire a congedarsi dai genitori e dalle sicurezze più o meno fittizie che ognuno di noi si costruisce, per affrontare con un nuovo equilibrio il domani. In questo senso il libro della Marchelli mi è piaciuto e mi è sembrato profondamente vero: perché parla della vita reale, dove le coppie sono imperfette, nelle famiglie la comunicazione spesso passa a fatica, i padri, compreso l’ottimo Bruno, falliscono un po’ nel loro compito, i progetti in cui si è creduto talvolta non si realizzano…. Ma in tutta questa fragilità, riconoscendola e facendosene carico, è pur sempre possibile costruire, un pezzo alla volta, la propria strada.