Gianni Farinetti, La bella sconosciuta verri blog bertini

di Mariolina Bertini

È raro che una copertina riesca a concentrare in un’unica immagine tutto il fascino di un romanzo. Ci riuscivano, negli anni Sessanta, certe copertine dei gialli Mondadori: nella penombra della camera di un malato, una procace infermiera fissava controluce una siringa scintillante, oppure da una porta socchiusa si affacciava un uomo col cappello, dal cui viso seminascosto non c’era da aspettarsi niente di buono. Il messaggio esplicito trasmesso al lettore dalla figura – sempre racchiusa in un incompleto cerchio rosso – era una promessa di forti emozioni. Oggi le foto d’epoca in bianco e nero che decorano i Maigret adelphiani hanno quasi la funzione opposta: «caro lettore colto», sussurrano a chi prende in mano il volumetto, «ti conosciamo a fondo, sappiamo bene che non sono i volgari allettamenti dell’intreccio a sedurti; i nostri lampioni persi nella nebbia, o quel bancone di zinco con il suo sfondo di bottiglie, sono lì per aiutarti a scivolare nella Parigi che ami, nella rumorosa confusione di un bar-tabacchi o nel silenzio notturno di una piazzetta alberata».

Guardando la copertina, così singolarmente suggestiva, de La bella sconosciuta (Marsilio, 2019, pp. 244, € 17), mi sono detta che la sua forza stava nel conciliare questi due modi antitetici di attirare l’attenzione del lettore. Da un lato, mistero e  suspense, come in un vecchio giallo o in un melodramma con Bette Davis: perché la porta-finestra del salone deserto, con le sue vetrate primo Novecento, è spalancata sul giardino? Chi ha lasciato aperto il pianoforte a coda per svanire nel silenzio della notte stellata? Dall’altro, come nei dettagli parigini dei nuovi Maigret, l’incanto surreale di un tempo sospeso, che non appartiene al mondo concitato del feuilleton e del poliziesco, ma a quello assorto della fiaba. Nella sua ingannevole eleganza rétro, la copertina de La bella sconosciuta  ha più di un’anima; e lo stesso si può dire del romanzo al quale ci introduce e del quale racchiude in qualche modo l’essenza e l’atmosfera.

Ritroviamo ne La bella sconosciuta la piccola comunità langarola alla quale già ci eravamo affezionati nei  romanzi precedenti di Farinetti: lo sceneggiatore Sebastiano – che ha un nuovo compagno -, i suoi fidi tuttofare rumeni, il romanissimo maresciallo Buonanno che tra le colline del Piemonte ha incontrato Giulia, l’amore della sua vita, felicissima accanto a lui e incurante della differenza di classe che li separa. Ai personaggi già noti, si aggiunge la “bella sconosciuta” del titolo: la fascinosa Angela che, sistemandosi per l’estate come ospite pagante da Sebastiano, sembra cercare soltanto quiete e riposo. Alcuni indizi, però, rivelano un suo legame antico con quei luoghi. Lo intuiamo mentre Sebastiano la accompagna in auto a visitare la villa semiabbandonata di un’amica:

Hanno imboccato una strada che sale tra ampi tornanti. Cascine sparse, vetusti ciabot, qualche piccola vigna, campi piantati a erba medica e lavanda. Il brillare dei fittissimi boschi in alto, pascoli. Angela tace guardando il panorama chiuso da queste colline imponenti, impassibili, preistoriche. Non c’è niente di aggraziato, di romantico, eppure questa solennità, i muri di pietra, i trattori nei cortili, improvvisi roseti e strade sterrate in rapida discesa, faggi e ciliegi le sono cari.

Se, inesplicabilmente, i boschi e le colline dell’alta Langa sono cari ad Angela, anche la villa, che Sebastiano la conduce a visitare, desta strani echi nella sua memoria. Come può “la bella sconosciuta” accorgersi che da un angolo dell’imponente sala da musica è stato rimosso un pianoforte che c’era vent’anni prima? Nessuno è troppo turbato sul momento da questo interrogativo, che una serie di furti inconsueti (una stufa, un caminetto, una lavatrice…) relega in secondo piano; quando poi sopraggiunge addirittura un omicidio, ai ricordi inesplicati della bellissima Angela nessuno ha più ragione di pensare. Eppure in quei ricordi è racchiuso un segreto destinato a cambiare diversi destini e a gettare, una volta svelato, una nuova luce sul passato di più persone.

Figura carica di romanticismo e di mistero, Angela occupa ne La bella sconosciuta una sorta di posizione centrale, verso la quale convergono tutte le diramazioni dell’intreccio. Ma, come sempre nei romanzi di Farinetti, intorno al nucleo principale della storia è tutto un proliferare di figurette esilaranti, ognuna dotata di una voce ben riconoscibile. Nella polifonia delle conversazioni – ora svagate, ora rivelatrici – che attraversano il romanzo, Farinetti ha un genio particolare, un orecchio sensibilissimo per l’insopprimibile basso continuo del vero seccatore logorroico e autoreferenziale, di cui ci offre due esempi di  squisita perfezione: l’anziano nobiluomo Oliviero di Sanfront e il pedantissimo professor Bertagnolio. Quando il cavaliere di Sanfront si lancia nell’evocazione delle sue partite a croquet con lady Mountbatten nel 1952, o Bertagnolio imperversa sciorinando bibliografia sui solstizi e gli equinozi, o discettando sui simboli massonici, il lettore maligno giubila; gli pare che lo humour di Farinetti cali come la lama della ghigliottina sul collo di certi suoi conoscenti molesti per i quali non c’è giusta punizione nel mondo reale. Poetic justice: “E so’ soddisfazioni…”, direbbe il commissario Buonanno.