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di Mariolina Bertini

Paolo Cioni, La verità a pagina 31, Elliot, Roma 2019, pp. 185 , € 17.50

“Per chi ha vissuto a Parma – mi diceva Giulio Bollati – la misura di tutte le cose sarà sempre l’angelo d’oro, quello che sta in cima al campanile del Duomo”. Quando, il 22 ottobre del 2009, nel corso di un temporale violentissimo, non so se dovuto al cambiamento climatico, a un soprassalto delle potenze infere o a entrambe le cose, l’anzol d’oro fu colpito da un fulmine, ho ripensato a quelle parole; e hanno continuato ad accompagnarmi in questi ultimi anni nei quali Parma, la città dove ho insegnato dal 1988 al 2017, si è andata allontanando da me, inghiottita da quella nebbia del passato che è tanto più spessa di quella che ristagna, nelle mattine e nelle sere d’autunno, tra le foglie dei pioppi, sulle anse del Po.

Forse proprio grazie al mio rapporto peculiare con Parma – fatto insieme di estraneità e di nostalgia, perché è una città che ho amato moltissimo senza mai farne veramente parte – mi sono trovata ad essere particolarmente sensibile all’affettuosa autoironia dell’ultimo romanzo di Paolo Cioni, La verità a pagina 31, che ha per sfondo il quartiere dell’Oltretorrente e le campagne che si stendono verso Fidenza e Piacenza.

Da una cascina di quelle campagne, dove ancora vivono i suoi genitori, si è trasferito a Parma Ennio, che ha trent’anni nel 1993, all’inizio del romanzo. Ha rilevato una vecchia libreria nell’Oltretorrente e passa il tempo a schedare, senza molto entusiasmo, i volumi degli anni ’50 e ’60 che si allineano sugli scuri scaffali di legno delle salette dedicate alle opere di seconda mano. È una libreria immaginaria, quella dove ci introduce il racconto di Paolo Cioni, ma all’inizio dell’ampia via d’Azeglio, che è un po’ la spina dorsale dell’Oltretorrente, ci starebbe benissimo, tra il ricordo sempre vivo delle barricate antifasciste del 1922 e l’attrattiva di un cinema d’essai, il d’Azeglio, dalla programmazione sempre all’avanguardia. E il  mondo del cinema è destinato a occupare, ne La verità a pagina 31, un ruolo privilegiato.

Come libraio, Ennio è  distratto e un po’ svogliato ma è stato, negli anni Ottanta, il socio entusiasta di un Collettivo con grandi progetti di cinema indipendente. La stagione creativa del gruppo di amici che allora aveva lavorato insieme, in un clima irripetibile di affetto e di speranza, si è chiusa sotto il segno della sconfitta: i debiti hanno cancellato il progetto più ambizioso della piccola comunità – un documentario sulla via Emila, da Fidenza a Rimini – e il sogno di seguire le tracce di Wenders e di Herzog tra le nebbie della Bassa è naufragato, lasciando gli aspiranti cineasti alle prese con i problemi prosaici della sopravvivenza.

In una giornata di luglio del 1993, due eventi inattesi vengono ad interrompere la grigia routine della vita del giovane libraio: sul bancone della libreria compare, misteriosamente, un libro sugli angeli di cui nessuno sa la provenienza, e si fa vivo per telefono Raimondo, che del Collettivo degli anni Ottanta era stato il principale animatore e che Ennio non sentiva da molti anni. Sono molto wendersiani, gli angeli di quel libro, e approdano all’Oltretorrente dai cieli di Berlino per ricordare al protagonista, e a noi lettori, che sulle nostre vite vegliano, inavvertite, delle misteriose presenze amiche, a volte inefficaci e maldestre, ma a volte invece portatrici di inaspettata salvezza. Presenze non necessariamente sovrannaturali: può svolgere il loro ruolo anche un amico geniale e pasticcione come Raimondo, che ha il dono – nel bene e nel male – di imprimere svolte imprevedibili alle vite di chi gli sta vicino. Grazie a Raimondo, l’esistenza monotona di Ennio si trasforma in un’avventurosa quête, con due obiettivi, l’uno più fascinoso dell’altro: la bellissima Adele, moglie e ispiratrice di Raimondo, scomparsa anni prima nel nulla, e il tesoro del Collettivo, un baule dove sono conservati i materiali, ancora da montare, del famoso documentario.

Sarebbe macchiarsi di un colpevole spoiling svelare gli sviluppi di questa quête, che per Ennio è insieme esperienza di un passato che continua a intrecciarsi con il presente e a condizionarlo, e del destino ineluttabile che di quel passato vieta la ripetizione e il ritorno. Ne lasciamo la scoperta ai lettori che di questo romanzo potranno apprezzare tutte le sfaccettature: lo humour che accompagna il trasformarsi di Ennio in una sorta di detective chandleriano, l’alone di romanticismo fiabesco alla Grand Meaulnes che circonda Adele, la nostalgia dei miti cinematografici degli anni ’80 e dell’entusiasmo che suscitavano in chi accedeva allora al mondo “dei grandi”. E, last but not least, il fascino di una Parma che non è quella delle guide turistiche: la città dei grandi viali su cui il traffico, al cadere della notte, “si accende come una processione”, la Parma del cielo che si tinge di viola nelle notti luminose d’estate e la Parma dell’Oltretorrente, con i suoi cortili  e le sue piazzette segrete:

Mi piaceva l’Oltretorrente. (…) Gli alberi di piazzale Rondani erano bellissimi. Nelle sere d’estate, quando il sole tramontava tardi dietro i tetti infuocati dagli ultimi raggi, mi piaceva guardarli dalla finestra del mio terrazzo. Si muovevano appena, nel vento leggero che arrivava lungo il letto del torrente in secca. Chissà se ad Adele la casa era piaciuta. Chissà se, mentre era seduta al tavolo della mia cucina, aveva notato gli alberi là fuori. Chissà se sarebbe tornata….