A cura di Guido Michelone
Il problema di avvicinare il giovane pubblico alla musica classica da sempre attraversa la cultura italiana, persino da quando vengono istituiti i licei musicali che dovrebbero sopperire alla lacuna di una materia storica che venga insegnata e studiata alla pari della letteratura, della filosofia, dell’arte figurativa. Per approfondire la questione se ne parla ora con tre professori di svariata provenienza (Arona, Torino, Vercelli-Salerno) titolari di cattedre di strumento (tromba, violoncello, chitarra) ma anche interpereti o compositori di fama nazionale ed europea, nonché creatori di progetti didattici e pluridisciplinari che coinvolgono differenti esperienze, proprio come loro stessi fanno con le diverse musiche che suonano (non solo classica, ma anche jazz e sperimentale, talvolta pop e rock).
Simone Morellini
Si parte dunque con Simone Morellini, 25enne solista, ma anche valente studioso di musicologia, che con la propria tromba in numerosi ensemble spazia dal barocco alle colonne sonore. A lui si chiede se nella sua esperienza di giovane musicista (appunto trombettista, didatta, ricercatore), riesca a immaginare quale possa essere il modo migliore per avvicinare i giovani alla musica classica, con particolare riferimento a quei ragazzi che ascoltano solo trap e non certo agli allievi di conservatorio (o di liceo musicale) già in parte o del tutto motivati: “Credo che tutto – risponde Morellini – debba partire (o meglio, ripartire) dai banchi di scuola. Abbiamo uno dei sistemi scolastici ed educativi più completi al mondo, ma ancora oggi siamo capaci di sacrificare la musica e l’arte in generale. Come possiamo pretendere che i giovani d’oggi si avvicinino alla musica d’arte se non gliene forniamo i mezzi e le possibilità? Credo che la storia della musica vada studiata in classe al pari della storia dell’arte, di cui peraltro potrebbe essere una sottobranca. Spesso si sente dire che argomenti così “lontani” sono ormai fuori moda e andrebbero ancorati alla realtà. Benissimo, ottimo punto di partenza”.
E qui Morellini ha un lampo di genio, tirando fuori un’idea vincente per l’oggi e per il futuro: “E allora perché non impostare il discorso coi giovani facendo loro capire che più della metà delle canzoni moderne è basata sul giro armonico del canone di Pachelbel, compositore barocco? Che la Danza delle streghe che ci fa ballare nelle discoteche dagli anni Novanta non è nient’altro che la riproposizione in chiave moderna dell’incipit del celebre Lacrimosa tratto dal Requiem di Giuseppe Verdi? O ancora che la celebre Canzone dell’amore perduto di De Andrè prende spunto dal concerto per tromba di Telemann, composto all’inizio del Settecento? Questo tipo di approccio, più dinamico e moderno, contribuisce senz’altro a incuriosire i nostri giovani interlocutori e a chiarire che non esistono generi musicali chiusi in compartimenti stagni, ma che, parafrasando un principio della termodinamica, tutto ‘si trasforma’”.
Il problema si aggrava se si pensa che la mancanza dell’insegnamento di musica e di storia della musica negli istituti secondarti superiori (tranne appunto il liceo musicale) riguarda un paese come l’Italia, internazionalmente noto come il luogo del bel canto, la patria dell’opera lirica, la nazione della tarantella e dei mandolini: “La musica inoltre – prosegue Morellini – è ciò che dovrebbe renderci orgogliosi di essere italiani e senza dubbio fornisce da sempre le basi per una solida e ben riconoscibile identità culturale, specialmente nel nostro Bel Paese. Pensiamo ad esempio al nostro Giuseppe Verdi, il più fulgido esempio di ‘italianità’ prima ancora che grande musicista e compositore. Inoltre, in riferimento al melodramma, andare a teatro vuol dire anche scoprirsi uomini, crescere e maturare: lì, su quel palcoscenico, i giovani possono riconoscere le più svariate sfaccettature dell’animo umano, le più ardenti passioni, possono soffrire o esultare insieme ai personaggi. In questo sta la grandezza della musica, specialmente della musica per il teatro: vogliamo davvero privarci di questa immensa possibilità e privarne le generazioni future solo per negligenza o noncuranza? Solo così potrà scattare la “molla” della curiosità e della conoscenza per questo sterminato mondo musicale”.
La scusa accampata dai troppi detrattori della musica classica è quella della ‘complessità’, perché chi non la ama dice che la classica, dal gregoriano a Bach, da Vivaldi a Debussy, sia appunto ostica, noiosa, cerebrale, difficile, nonostante l’opposto parere di chi la ama e la segue: “Personalmente – riprende Morellini – non ho avuto alcuna difficoltà ad avvicinarmi alla musica classica, essendo nato in una famiglia di musicisti. Mio nonno ha trasmesso la passione ai suoi figli, tra cui mio padre, che a sua volta l’ha trasmessa più o meno volontariamente al sottoscritto. Non credo che la musica classica sia difficile, anzi, ritengo che sia più vicina a noi di quanto possiamo immaginare e paradossalmente di grande attualità. Certo, per conoscerla davvero bisogna lasciarsi tentare, mettersi in gioco e scoprirla giorno dopo giorno. Presi come siamo dalla fretta della quotidianità non abbiamo più né la voglia né l’attitudine di ‘ascoltare’ musica, un ascolto inteso in senso lato e percepito per mezzo di tutti i sensi, oltre che del nostro cervello. La musica d’oggi è diventata ormai la colonna sonora della nostra routine, un sottofondo che serve solamente a sentirci un po’ meno soli… la radio in macchina, nei centri commerciali, ma potrei fare mille altri esempi. Per questo oggi è più semplice ascoltare canzoni pop da 3-4 minuti, in cui riusciamo a sentirci addirittura così intelligenti da potervi riconoscere la solita struttura strofa-ritornello: forse è quello di cui abbiamo bisogno. Ma con la musica classica il rapporto deve essere diverso, più genuino e confidenziale. Io immagino questo rapporto come una lunga conversazione con un anziano saggio da cui non possiamo far altro che imparare ed arricchirci. Ci vuole pazienza, molta pazienza, ma non è difficile come dicono. Basta volerlo e accettare le regole del gioco!”.
Il problema si complica ulteriormente se si passa a ritenere più difficile la pratica dell’ascolto che quella esecutiva, forse perché c’è forse troppa gente (persino fra i musicisti) che suona uno strumento ma non è attenta alla musica, una constatazione che trova pienamente d’accordo lo stesso Morellini: “Al giorno d’oggi è facile imparare a ‘strimpellare’ uno strumento, ma chi può dire di ‘ascoltare’ davvero musica, a prescindere dal genere? Quando parlo di ascolto intendo un tipo di ascolto critico, o quantomeno ‘ragionato’. L’errore più comune, a mio parere, a partire dall’educazione musicale nelle scuole, è quello di far praticare l’ascolto soltanto con l’obiettivo di esprimere giudizi estetici totalmente privi di fondamento. La classica domanda ‘a cosa ti fa pensare questa musica?’ oppure ‘secondo te questa musica che cosa vuole descrivere?’ ci porta totalmente fuori strada. Innanzitutto perché la musica non deve descrivere a tutti i costi (e semmai ci ‘evoca’ qualcosa), ma soprattutto perché non ci permette di scavare a fondo e cercarne i significati più profondi, facendoci fermare soltanto alla superficie”.
Verrebbe quindi voglia di chiedere a un giovane come Morellini se ritiene che sia davvero tanta la musicaccia (leggera) che oggi circola in rete o in tv e se non siano forse migliori le canzoni degli anni Sessanta, in un ragionamento che coinvolgerebbe pure il rock, che mezzo secolo fa risultava assai più vario e creativo, oggi sembra tutto piatto e uguale a se stesso: “Purtroppo in generale – precisa Morellini – la musica oggi, come ogni cosa che ci circonda, deve soltanto rispondere a precise logiche ed esigenze di mercato, il quale deve chiaramente rivolgersi al più vasto pubblico possibile per incrementare i suoi profitti. Pertanto la musica che ci circonda è esattamente lo specchio della nostra società, una società in cui ormai nessuno ha più l’esigenza di distinguere criticamente o di formulare un giudizio estetico musicale con cognizione di causa. Per questo ci accontentiamo di canzoni che trattano temi leggeri, con armonie e melodie banali e riciclate a più riprese”.
Lamberto Curtoni
A soli 32 anni il piacentino (ma torinese d’adozioni) Lamberto Curtoni è già una celebrità violoncellista internazionale per le numerose eclettiche collaborazioni, per la vastità del repertorio in grado di eseguire (dal barocco ai contemporanei) e per due dischi a proprio nome, uno quale autore di una colonna sonora, l’altro invece con propri brani eseguiti in solo. Anche per lui occorre ripartire, ossia il problema di come ingraziarsi i giovani attratti spesso da pessima musica e non sostenuti da una scuola ancora ‘vittima della riforma di Giovani Gentile (1923) che separa nettamente la cultura alta da quella bassa, la teoria dalla prassi, dove a farne le spese è proprio la musica rispetto al primato della parola scritta e libresca.
“Penso – risponde Curtoni – che ci sia un po’ di confusione alla base: come si differenzia la musica rap o trap si dovrebbe differenziare la musica barocca dal romanticismo. I giovani probabilmente sono spaventati da tanto repertorio a loro ‘sconosciuto’: se iniziassero ad affrontare, anche in maniera casuale, alcune composizioni o autori senz’altro inizierebbero a incuriosirsi e a cercare la naturale evoluzione di un certo linguaggio musicale. Probabilmente, associando l’esperienza sonora alla lettura di un libro oppure alla contestualizzazione storica, la prima potrebbe essere affrontata in maniera più profonda.
Le arti hanno necessità di confronto, il discorso andrebbe ampliato anche alla letteratura, all’arte visiva, alla filosofia, al teatro: questi linguaggi hanno la necessità di costante interazione, accompagnano la nostra vita e sono volti alla sublimazione.
L’avvicinamento alla musica classica , fin da piccini, del resto è quasi sempre privilegio di pochi fortunati che, come nel caso di Curtoni, hanno almeno un musicista in famiglia: “Quando ero bambino ascoltavo tantissima musica barocca e avevo iniziato a cantare e a muovere i primi passi sullo strumento. Pian piano gli ascolti si sono moltiplicati (legati a vari momenti della crescita), molto è dipeso dalla curiosità che, assieme agli amici, mi spingeva a comprare dischi e fare esperienze sonore differenti. Alle scuole medie i primi incontri con Mauricio Kagel e Iannis Xenakis, ma anche la musica balinese e quella africana (con il progetto del Kronos Quartet). Ma chiaramente con il percorso accademico affrontavo vari autori tra il romanticismo e l’impressionismo”.
Curtoni ha dunque la fortuna o il privilegio di poter contare su una cerchia di amici, familiari, conoscenti che lo aiutano e lo influenzano nella direzione di un musicista a tutto tondo: “Dai primi anni di liceo – continua – la competenza strumentale era decisamente avanzata e potevo affrontare differenti autori di varie epoche e iniziare a sperimentare le prime idee musicali. Le esperienze sonore e musicali dall’adolescenza in poi sono diventate le più disparate: dal trip-hop al folclore tradizionale, dal rock anni Settanta e una certa dose di jazz. E infine tutto il mondo del minimalismo americano e le sue varie derivazioni, il clubbing e la musica elettronica. L’opportunità di aver sempre con me un I-pod da centinaia di giga byte mi dava la possibilità di passare dai 99 Posse al barocco tedesco, dai Beatles a Gesualdo da Venosa, dagli Area a Gustav Mahler senza alcun problema e penso che sia una palestra incredibile”.
Anche sulla musica suonata da professionisti o dilettanti e su quella fruita da melomani con l’orecchio fino o da fans di bocca buona, Curtoni vanta idee precise: “In realtà penso che la pratica all’ascolto possa (e debba) crescere con l’individuo. Non bisogna fossilizzarsi ma accogliere il nuovo con curiosità, così accade ad esempio con la lettura. Continuo a ribadire che ci siano vari livelli di percezione/ascolto: alcuni più superficiali che si possono affrontare con un livello attentivo più basso e senza aver alcuna competenza sino a quelli più profondi. Non è assolutamente vero che certa musica non si possa ascoltare senza competenze, è una questione di abitudine. Dall’ascolto può nascere invece l’esigenza di voler comprendere più profondamente le esperienze sonore fatte e quindi avvicinarsi alla pratica esecutiva, che è senz’altro un modo per imparare la disciplina e coltivare la bellezza.
E anche sul fatto che diversi musicisti non siano particolarmente attratti dai valori estetici, culturali, sociopolitici di un brano classico (o persino leggero) Curtoni mostra profondità di giudizio: “Questo è un altro aspetto. Non credo ci sia disattenzione quanto piuttosto c’è stata iperspecializzazione e quindi difficoltà di dialogo reale tra generi differenti”. Curtoni del resto conosce assai bene la questione, giacché si tratta di un musicista trasversale: suona benissimo da solista il repertorio sei-sette-ottocentesco, ma si esibisce anche con i cantautori e con i jazzman, in situazioni spesso eterogenee, da cui non può che trarre giovamento artistico: “In realtà queste esperienze così differenti tra loro arrivano proprio dal mio percorso di crescita. Far dialogare linguaggi (apparentemente) lontani tra loro trovo sia una pratica assai stimolante che metabolizzo e spesso riconsegno nei miei lavori di scrittura”.
Sergio Sorrentino
Da Salerno a Vercelli fino all’intero Pianeta per il 37enne Sergio Sorrentino il passo è abbastanza breve: tra i rarissimi casi (forse unico) di chitarrista classico ad adottare la chitarra elettrica non per suonare grunge o heavy metal ma per valorizzare le sempre più numerose partiture (talvolta dedicate dai compositori proprio a lui) di estrazione colta che sanno impiegare benissimo le caratteristiche del mezzo, per tanti versi, lontano o estraneo all’originale acustico. Anch’egli, come i colleghi, sia pur con maggior esperienza, strumentista, didatta, studioso, organizzatore, si allinea, alla propria maniera, alle teorie di Morellini e di Curtoni sul come coinvolgere discotecari e rockettari a altre tipologie musicali, di cui talvolta rimuovono l’esistenza, preferendo restare a crogiolarsi nell’ignoranza assai meno rischiosa o impegnativa, ma al contempo poco gratificante e per nulla variegata, con il rischio, senza rendersene conto, del piattume esistenziale e della monotonia estetica.
Sorrentino quindi afferma: “Credo che una giusta strategia per intercettare la loro attenzione sia quella di costruire un ponte capace di collegare il loro mondo pop, rap e trap con il nostro. E questo ponte penso proprio che possa materializzarsi attraverso la nuova musica classica, ricca com’è di contaminazioni di diversi generi (anche elettronici) e di riferimenti alla società contemporanea e alle nuove tecnologie. Avvicinare i giovani alla musica classica è uno dei miei obiettivi principali ed ho avuto dei riscontri molto positivi cercando dapprima di conoscere il loro mondo musicale e successivamente proponendo loro le mie interpretazioni di brani (anche multimediali) di geniali autori contemporanei (come ad esempio Jacob TV, Steve Reich, Van Stiefel, Elliott Sharp, Gavin Bryars) o mie composizioni elettroniche. Cercando di far capire loro che le barriere di genere non esistono ma che esistono comunque diversi livelli di profondità e complessità dell’organizzazione formale, estetica ed espressiva dei suoni”.
Per Sorrentino avvicinarsi a Orlando di Lasso o a Niccolò Paganini, a Robert Schumann o a Dmitri Shostakovic è fin da piccolo un’esperienza al contempo facile e facilitata, come egli stesso dichiara: “Per me è stato tutto molto naturale essendo nato in una famiglia di musicisti. Il mio bisnonno era un violinista, nonché il maestro della banda del mio paese e a casa mia si è sempre respirata musica, soprattutto le ouverture e le arie d’opera. Da piccolo mi affascinavano le sensazioni e le visioni che i suoni erano capaci di regalarmi. In seguito, ho intrapreso presto lo studio della chitarra e, insieme alla scoperta del repertorio chitarristico, ho ascoltato Mozart e Vivaldi, i canti gregoriani nelle funzioni religiose più importanti, ma anche Debussy e Stravinsky. La musica classica l’ho avvicinata con la spensieratezza di un bambino, semplicemente facendomi trasportare da ciò che volevano suscitare in me tutti quei suoni affascinanti…”.
Al di là o per via di tale bagaglio musico-culturale, Sorrentino crede che la pratica dell’ascolto musicale oggi sia abbastanza malleabile e perciò agevole: “Ascoltare bene è più facile di quanto non si pensi. A patto di non commettere l’errore di essere prevenuti o di pretendere di poter ‘comprendere’ per forza tutti gli elementi di una composizione. Molto meglio ‘chiudere gli occhi’ e farsi trascinare dalla musica. All’ascolto troppo analitico preferisco l’ascolto creativo, artistico, senza limiti o preconcetti, l’ascolto voglioso di farsi stupire ed affascinare dal brano. Con curiosità, umiltà e positività”. Sorrentino riconosce comunque un vizio o difetto del musicista in erba, che magari si protrae una volta raggiunto ambiziosamente il ruolo del professionista in orchestra: il ‘vizio’ di essere attento alla musica: “(…) in un certo senso c’è bisogno di ascoltare di più, qualsiasi genere musicale, ma con attenzione. Riscoprire il piacere di indossare un paio di cuffie e godersi le bellezze e le emozioni che solo la musica può offrire. La musica è tutto. È bellezza, arte, linguaggio, cultura, tradizione, politica, lotta contro le ingiustizie, è la Storia dei popoli”.
Questa idea della musica come un ‘tutto’ del resto appartiene a un musicista trasversale come Sorrentino che da chitarrista classico suona il rinascimento e il barocco, spostandosi quindi verso la chitarra elettrica (caso più unico che raro) in una molteplicità di esperienze, che gli “hanno permesso di sentirmi sempre di più un musicista di oggi e di poter collaborare con grandissimi musicisti provenienti da mondi differenti. Adoro poter interpretare il repertorio antico e allo stesso tempo dedicarmi alla nuova musica, all’elettronica, alla sperimentazione, al blues, alla musica etnica. Essere un musicista di oggi per me significa essere aperto a tutti i linguaggi e soprattutto alle diverse espressioni artistiche e culturali (l’arte, la scrittura, il cinema). Le scelte di repertorio e dei miei programmi da concerto rispecchiano proprio questa esigenza di apertura e libertà. Non voglio pormi limiti, voglio rendere mie le più disparate esperienze sonore e culturali, creando connessioni multidisciplinari spesso attraverso le più inedite esperienze multimediali”.