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Oggi presentiamo il ventitreesimo testo del progetto di riscrittura delle Operette morali di Giacomo Leopardi. L’ultimo intelligente palinsesto sul Parini o della gloria, firmato da Alba Coppola, italianista specializzata in Letteratura del Rinascimento. (Poiché il testo dell’Operetta è molto lungo verrà suddiviso in diverse puntate)

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CAPITOLO TERZO

“Si è già visto quanti pochi saranno in grado di ammirarti quando sarai giunto all’eccellenza che ti proponi. Ora sappi che più d’un ostacolo può impedire anche a questi pochi di costituirsi il giudizio adeguato al valore, benché ne scorgano i segni. Non c’è dubbio che gli scritti eloquenti o poetici, di qualsiasi tipo, non si giudicano tanto dalle loro qualità prese in sé, quanto dall’effetto che producono nell’animo del lettore, che nel giudicarli, dunque, li considera, per così dire, più in sé stesso, che in loro stessi. Da ciò deriva che gli uomini per natura lenti e freddi di cuore e d’immaginazione, pure se dotati di eloquenza, di molto acume e di cultura non mediocre, sono quasi del tutto incapaci di giudicare adeguatamente tali scritti, non potendosi immedesimare nell’animo dello scrittore. E di solito fra sé disprezzano quegli scritti, perché leggendoli, e sapendoli famosissimi, non individuano la causa della loro fama, perché dalla lettura non perviene loro alcun moto, alcuna immagine, e quindi alcun piacere notevole. Poi, anche quelli per natura disposti e pronti a ricevere e a rinnovare in sé ogni immagine o affetto espresso dagli scrittori in modo appropriato vivono moltissimi periodi di freddezza, noncuranza, debolezza d’animo, impenetrabilità e disposizione tali, che, mentre durano, li rendono uguali o simili agli altri. E ciò per le più diverse cause, intrinseche o estrinseche, che riguardano lo spirito o il corpo, transitorie o durevoli. In questi momenti, nessuno, fosse pure scrittore sommo, è buon giudice degli scritti adatti a muovere il cuore o l’immaginazione. Non dico della sazietà dei piaceri gustati poco prima in letture simili e delle passioni, più o meno forti, che sopravvengono continuamente, le quali, spesso, tenendo in gran parte occupato l’animo, non lasciano spazio ai moti che in altra occasione la lettura susciterebbe. Così, per le stesse cause, o per altre simili, vediamo di frequente che quei medesimi luoghi, quegli spettacoli naturali o di qualsiasi genere, quelle musiche, e cento cose simili che in passato ci commossero, o sarebbero state tali da commuoverci, se le avessimo vedute o udite, vedendole e ascoltandole ora non ci commuovono, né ci dànno piacere, e non perché sono meno belle o meno efficaci d’allora, ma per il fatto che quando, per una qualsiasi delle suddette ragioni, si è mal disposti agli effetti dell’eloquenza e della poesia, non si tralascia né si rimanda di esprimere un giudizio su qualsiasi libro si legga per la prima volta. A me non di rado càpita, nel riprendere in mano Omero o Cicerone o Petrarca, di non sentirmi muovere dalla lettura in alcun modo. Tuttavia, già consapevole e certo della bontà di tali scrittori, sia per la fama antica che per l’esperienza delle dolcezze procuratemi da loro altre volte, quella presente insipidezza non mi fa esprimere pensieri in contrasto con la loro lode. Ma riguardo gli scritti che si leggono per la prima volta, e che, dacché nuovi, non hanno ancora potuto conquistare la fama, o confermarsela in modo che non resti margine per dubitare del loro valore, nulla vieta che i lettori, giudicandoli dall’effetto che fanno loro al momento, non disposti ad accogliere i sentimenti e le immagini volute da chi scrisse, si facciano d’autori e d’opere eccellenti un concetto modesto, che non è facile poi cambino rileggendo gli stessi libri in tempi migliori, perché verisimilmente il tedio provato nella prima lettura li scoraggerà da altre. E in ogni modo, chi non sa cosa comportano le prime impressioni e l’essere prevenuto in un giudizio, benché falso?
Al contrario, gli animi si trovano a volte, per una ragione o l’altra, in stato di mobilità, sentimento, vigore e calore tale, o tanto aperti e disposti, che seguono ogni minimo impulso della lettura, sentono vivamente ogni leggero tocco, e nel leggere creano in sé mille moti e mille immaginazioni, vagando a volte in un delirio dolcissimo e quasi rapiti fuori di sé. Ne consegue facilmente che, per i piaceri provati nella lettura, e confondendo gli effetti della virtù e della disposizione propria con quelli reali del libro, ne restino presi da grande amore e ammirazione e se ne facciano un concetto molto superiore al giusto, anche anteponendolo a libri più degni, ma letti in congiuntura meno propizia. Vedi dunque a quanta incertezza sono sottoposte la verità e la validità dei giudizi, anche quelli delle persone idonee, circa gli scritti e gl’ingegni altrui, esclusi pure malignità o favori. Incertezza tale che ognuno discorda molto da sé stesso nel giudicare opere di valore uguale, e anche un’opera stessa, nelle diverse età della vita, nei diversi casi, e perfino nelle diverse ore di uno stesso giorno.”