Il viaggio dei viaggi COPERTINA

di Guido Michelone

Da circa un mese Il viaggio dei viaggio (Solferino Editroe) di Gianluca Barbera sta scalando le classifiche dei libri più letti, recensiti e venduti in Italia: un fatto abbastanza insolito giacché le hit parades sono ormai intasate di titoli inutili e latita invece la grande qualità narrativa e saggistica. Fa dunque eccezione questo bellissimo romanzo in cui un professore accompagna la propria classe in visita al museo dei viaggi e delle esplorazioni: grazie alla suggestione degli oggetti esposti e a un libro dagli straordinari poteri, il docente e il lettore precipitano in rocambolesche avventure attraverso i secoli e fendendo lo spazio, come a cavallo di una macchina del tempo da film di science-fiction. Dunque alla fine si rivela protagonista proprio l’arte di viaggiare in ogni forma: cielo, mare, terra, abissi, cosmo, perfino tra aldilà e cyberspazio. La galleria dei personaggi di ciascun capitolo resta davvero indimenticabile, in un testo che, forse, metaforicamente, contiene il mondo intero, di ieri, di oggi, di domani. In questa breve inedita intervista l’autore spiega come nasce il romanzo, come si sviluppa e come spera venga accolto.

Gianluca, come ti è venuta l’idea di scrivere Il Viaggio dei viaggi?

Leggendo le memorie di Darwin, mi ritrovai all’improvviso con la mente su una nave rompighiaccio che si apriva faticosamente la via attraverso una immensa distesa di ghiaccio, tra iceberg alti decine di metri, che venivano verso di noi cupi e silenziosi. Mi sembrò una immagine potente, e subito buttai giù un inizio di romanzo, che poi si trasformò in questo passaggio ispirato da Darwin (e ora collocato nel secondo capitolo): “Una settimana dopo aver lasciato lo Stretto di Magellano ci infilammo in un braccio di mare che si insinuava tra possenti montagne dalle cui pareti si staccavano enormi blocchi di ghiaccio che scivolavano in acqua prendendo il largo, alla deriva. Iceberg alti e spettrali come la cattedrale di Westminster. Tonnellate e tonnellate d’acqua. Forse addirittura un terzo dell’acqua dolce di tutto il pianeta. Per valli e canaloni, lungo i versanti più scoscesi, vedevo fiumi di ghiaccio scendere verso il mare con un rumore assordante. Enormi blocchi precipitavano dai dirupi producendo un rimbombo così cupo da gelare il sangue: parevano cannonate sparate da una nave da guerra. Senza contare che, crollando in acqua, sollevavano giganteschi cavalloni che si abbattevano sulle coste spazzando via ogni cosa”. Ecco come tutto è cominciato. Spesso è da una semplice immagine che parto.

Al di là delle parti storiche, la vicenda del docente e della scolaresca ha qualche riflesso personale o autobiografico?

Ma certo, c’è molto di autobiografico. C’è sempre qualcosa di autobiografico in quello che racconti. In questo caso è ai tempi del liceo che sono riandato con la mente. Un’epoca che ricordo con una certa dose di conflittualità.

Di cosa parla direttamente il libro? Che storia racconta?

Una scolaresca in visita al museo sale con l’immaginazione a bordo di una wellsiana time machine del tempo e compie un volo spaziotemporale, come su un tappeto volante, incontrando Darwin, Livingstone, Belzoni, Magellano, Marco Polo, Walpole e Gray, Nobile e Amundsen, Armstrong e Aldrin e tanti altri personaggi memorabili, che hanno fatto la storia dei viaggi di esplorazione e di scoperta. Una sorta di iniziazione, di rito di passaggio.

barbera foto

E invece sul piano subliminale quale segreti svelano queste vicende narrate?

Ogni storia che ho inanellato nel romanzo ci svela un suo segreto. Uno è questo: non esistono eroi, solo uomini come tutti gli altri, in carne e ossa, che però hanno osato più degli altri. Un altro è: si viaggia soprattutto con la mente. Due persone che compiono insieme lo stesso viaggio finiscono per vedere cose diverse, e dunque per fare due viaggi differenti. È lo spirito con cui affrontiamo un viaggio a rendercelo indimenticabile o da dimenticare.

A quale lettore ti rivolgi? Adulto, giovane, colto, popolare o altro?

Sono stato paragonato a Salgàri, a Verne, a Stevenson. E come loro scrivo apparentemente libri di avventura. Ma in realtà è sempre l’uomo che racconto. Sono le zone grigie a interessarmi, quelle dove l’uomo perde la bussola, si smarrisce, non sa più chi è, commette sbagli a volte irreparabili. Credo di avere trovato la formula giusta per parlare sia al lettore colto che a quello amante del romanzo popolare. E del resto L’isola del tesoro, Cuore di tenebra, Il richiamo della foresta non sono forse romanzi popolari e opere d’arte al tempo stesso? Non vengono letti sia da un pubblico giovane che da persone più in là con gli anni?

Pensi che i social siano utili alla conoscenza o alla diffusione di questo tuo libro?

Sì, molto utili. Ormai la promozione dei libri passa inevitabilmente anche da lì. E infatti molti blog, siti letterari e vari social lo stanno recensendo, per di più molto bene, con lodi così grandi che mi fanno arrossire. Lasciatemi un po’ scherzare.

Ovviamente tra i viaggi ‘epocali’ ve ne sono molti altri. Hai dovuto scartarne qualcuno? Che tipo di scelta hai condotto?

Scelgo sempre personaggi archetipici, che fanno parte del nostro immaginario da sempre, che ci hanno affascinato fin dall’infanzia, un’epoca in cui tutto ci sembrava magico: poteva perfino accadere che una sera, all’improvviso, alla nostra tavola sedessero strani individui, simili a Long John Silver (per fare un nome), ospiti di nostro padre, e che la nostra fantasia cominciasse a galoppare, costruendo sul loro conto le più inverosimili storie. Ad alcuni di quei personaggi, che sembravano appartenere a un mondo lontano e misterioso, mi sono ispirato spesso nei miei romanzi.