Sul finire dell’estate ho lanciato l’idea di riscrivere i risvolti vittoriniani a settant’anni di distanza dalla memorabile impresa editoriale dei «Gettoni» Einaudi; il progetto originario, sviluppatosi nella mente di Vittorini a partire dal 1949, prevedeva l’uscita di volumi di piccolo formato e di lunghezza contenuta (in principiò si pensava a una caratura tra le 16 e le 64 pagine) in funzione di un esiguo investimento economico da parte dell’editore e, allo stesso tempo, dell’offerta di visibilità anche per giovani autori alle prime armi.

In realtà, come sappiamo, i criteri non furono così stringenti, specie per quanto riguarda la lunghezza dei volumi, sebbene il punto di riferimento resterà quello di una narrativa agile (memoire, raccolte di racconti, racconti lunghi, romanzi brevi).

Ma non è questa la sede per dire che cosa è stata la collana dei «Gettoni», quanto per concentrare la nostra attenzione su quello spazio ristretto ma fondamentale che da allora in poi – siamo nell’immediato dopoguerra – verrà concesso all’editore o a un suo portavoce ufficiale, ovvero il “risvolto”: amorevole introduzione – per citare Cesare De Michelis – al libro che si ha in mano.

Ma di che tipo di introduzione stiamo parlando? Non degli squilli di tromba che usava, a volte, Leo Longanesi, ma di una sincera, a tratti, severa nota di accompagnamento al testo; così era il “risvolto” di Vittorini, tagliente fin dentro al muscolo della scrittura, a volte aspro, ma sempre chiaro e leale nei confronti dello scrittore – prima di tutto – e del lettore; un triangolo (scrittore-editore-pubblico) di franchezza morale – probabilmente mai più raggiunto negli anni successivi – che affondava le radici nell’esigenza di rinnovamento del tessuto culturale di un Paese uscito da vent’anni di menzogne e di dittatura.

Leggere i “risvolti” di Vittorini è ammirare, ancora oggi, un ritratto dell’urgenza intellettuale che scaturiva allora dalla fucina di casa Einaudi (e non solo), ed è pure un farsi spettatori stupefatti di un modo di fare editoria che forse oggi non si conosce più. Di qui l’esigenza – serissima e giocosa a un tempo – di provare a riscrivere quei nitidi “risvolti” per saggiare la tenuta artistica di testi nati settant’anni fa, per verificare o ridisegnare con veloci pennellate l’eventuale diverso assetto preso dalla critica letteraria, relativa a quei libri, nel corso tempo, per capire se e quali volumi e/o autori hanno fatto scuola per le generazioni successive. Un’esigenza ora imprescindibile e sentita da più parti, il ritorno cioè a un onesto lavoro redazionale, quello agognato da Piergiorgio Paterlini che proprio sulla riscrittura dei “risvolti” ai libri pubblicati dall’editoria 2.0 ormai da tempo dedica una gustosa rubrica su Robinson di Repubblica.

Un “gioco” e un progetto che finora ha riscontrato il favore di molti amici scrittori, traduttori, lettori forti e che spero possa condurre a una nuova e sincera mappatura della strada percorsa da quei sessantuno gioiellini provenienti dal passato.

Qualcuno, dunque, si è già cimentato in questa impresa e, così, dalla settimana prossima pubblicherò qui i nuovi testi.

Nell’attesa, auguro a tutti buona lettura.

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