di Guido Michelone

La scomparsa di Armando Corea, detto Chick, il 9 febbraio scorso, sorprende un po’ tutti per la delicatezza con la quale il musicista – jazzman, solista, compositore, bandleader, virtuoso di pianoforte e tastiere – si accommiata dal mondo terreno, grazie a un testamento spirituale davvero commovente. Sorprende, però, ancor di più l’ampio spazio a lui dedicato dai media popolari – persino i Tg nazionali in Italia – comprese le riviste di pop e di rock: sui motivi di tale interesse gioca senza dubbio l’elemento sorpresa che attira il giornalismo pettegolo, ma concerne anche la singolarità, l’eccezionalità, la validità dell’uomo-artista. Un artista che, in vita, però, non gode a differenza di un Keith Jarrett ad esempio, di troppe attenzioni forse a causa della sua appartenenza all’invisa Scientology, su cui però Chick mantiene sempre, dall’adesione alla morte, uno stretto riserbo. In Europa – e in parte anche presso l’intellighenzia americana – soprattutto i musicisti (e quelli jazz in particolare), vengono giudicati più o meno bene dall’informazione progressista e dagli ambienti accademici a seconda delle loro idee politiche o dell’impegno socioculturale. Nel jazz tendenzialmente i musicisti sono a sinistra, benché vi siano molti protagonisti dichiaratamente anti-ideologici o disinteressati o ancora iscritti a qualche associazione controversa; ed ecco scattare la molla dell’ostracismo come nel caso di Corea, che invece meriterebbe una riscoperta ulteriore sulla base delle novità introdotte nel pianismo e nella musica post-free. Egli emerge quando, a metà dei ‘60, sono tre le linee dominanti fra i tasti bianchi-e-neri: il tardo swing alla Oscar Peterson, l’impressionismo avanzato di Bill Evans, l’avanguardia radicalissima di Cecil Taylor. Corea, assieme al citato Jarrett, a McCoy Tyner e a Herbie Hancock, seguono altre vie, sviluppando intense improvvisazioni in cui mescolano hard bop, modale, e chi di folk, di classica, di pop, persino di rock e, perché no, di free. Ma Corea possiede in più la perseveranza di agire su più fronti, mantenendo costante il lavoro al pianoforte accanto alle tastiere elettriche e dunque alternando una propria band acustica con una fusion, prediligendo per la prima il trio e per la seconda organici variabili dal quartetto all’ottetto. Inoltre Chick è tra i vari jazzisti a comporre musica colta di stile tardo romantico, giungendo a entrare, caso forse unico al mondo, nel repertorio concertistico e discografico e della produzione classica. Se a ciò si aggiunge il desiderio di confrontarsi, spesso in duo, con jazzmen anche lontani dalla sua estetica – Gary Burton, Bobby McFerrin, Bela Fleck, Pat Metheny, Paco De Lucia – compresi i pianisti Hancock, Hiromi, Friedrich Gulda, Stefano Bollani, si può concludere che egli sia veramente un musicista completo, da salutare fra i grandissimi personaggi tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI.

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