
di Carlo A. Palazzi
Pare strano che nessuno si sia preso la briga, sino ad oggi, di tradurre i racconti di James Still. E, perciò, onore al merito dell’editore Mattioli 1885 e di Livio Crescenzi e Marta Viazzoli che hanno compiuto, materialmente, l’opera (Le colline ricordano di James Still, Mattioli 1885, 2020 pp. 272, € 18, Titolo originale: The Hills Remember, 2012).
In effetti, in pochi altri autori mi è capitato di trovare il genuino sapore dell’America rurale, come in Still. Ma non certo dell’America rurale del Middle West. Dei grandi spazi. Delle grandi pianure sulle quali mostri d’acciaio si muovono sotto la guida dei sapienti farmers. Qui si tratta dell’America delle scoscese colline (quasi montagne) degli Appalachi, nello stato del Kentucky (ove Still ha vissuto per settant’anni, sino alla morte nel 2001, dentro una capanna di tronchi d’albero). In un periodo storico non precisato, ma da quanto accennato in alcune delle storie, inquadrabile nei primi decenni dello scorso secolo.
Qui non compare un trattore che sia uno. L’aratura, ad esempio, è praticata col mulo. Oppure “a mano” da chi non può permettersi neppure questo. Nel contesto di un’agricoltura di sussistenza. Giusto per sfamare la famiglia, quando va bene. Perché si è, comunque, soggetti alle stramberie delle stagioni, ai danni provocati dagli uccelli e dalle talpe o all’improvviso presentarsi di qualcuno, parente o vicino che sia, rimasto senza assolutamente nulla da mettere sotto i denti. E col quale devi, obbligatoriamente, condividere il tuo già poco.
C’è anche chi ha deciso di lavorare in miniera, per assicurarsi un introito meno aleatorio. Lasciando a moglie e figli la cura della terra e la conservazione dei suoi frutti.
Ed in mancanza d’altro, sempre che si possieda un fucile e ti sia rimasta da parte qualche cartuccia, c’è da poter cacciare qualche scoiattolo, od opossum, oppure coniglio selvatico. Per poi scuoiarlo ed arrostirlo.
Eppure, anche in queste situazioni di angustie, non ci si abbandona praticamente mai allo scoramento. Pure se un bambino ti è morto di malattia e di stenti, pure se il tuo seno di madre è vuoto di latte perché non ti nutri abbastanza, l’imperativo è unico: darsi da fare e andare avanti. Ed anche i più piccoli e i ragazzi non li vedi mai abbattuti. Tutti conservano i loro sogni: possedere un proprio cane da caccia, oppure un vitello o un puledro personale. O anche imparare a leggere ed a far di conto nella improvvisata scuola più vicina. Nella quale un unico insegnante si districa tra allievi delle età più disparate. Per non parlare del loro spirito di iniziativa: il bimbetto di nove anni che si mette in viaggio, da solo, per tredici miglia, verso una cittadina a lui sconosciuta, alla guida di un drappello di vitelle. Perché gli è stato promesso un dollaro, utilissimo per la sua famiglia.
E ci sono poi le figure caratteristiche, ma mai “macchiette”: l’allevatore ricco e disonesto; i parenti scrocconi o sfaticati; la fascinosa ragazza di città per cui si è disposti al fatale duello con la pistola; lo zio che, per i suoi scherzi da prete, finisce spesso in prigione (nella quale, in ogni caso, i tre pasti quotidiani sono assicurati) e così via.
E poi, la natura. Una sorta di divinità immanente e imprescindibile, ma nient’affatto divinizzata. Che fa da sfondo a tutto. Le albe, i tramonti, i boschi, i diversi versi degli uccelli e degli insetti, le mosche cavalline che pungono peggio delle api, il colore dei fiori e delle foglie nelle diverse stagioni.
Quello di Still è, in sostanza, un microcosmo duro e non di rado violento. Ma che non sembra avvertito come tale da chi ci vive. Perché è gente che non ha mai conosciuto altro, un differente modo di vivere.
Che dire, poi, della prosa di Still? Mi immagino che non sia proprio stato facile, per i traduttori, confrontarsi con il dialetto di un’appartata regione interna degli USA. Ma il risultato è a mio giudizio assolutamente “gustoso” e bilanciato. Un discorrere realistico, asciutto. Intriso di massime, modi di dire, colorite descrizioni, imprecazioni, riferimenti ad elementi naturali, credenze popolari e di ricordi veri o presunti. Gli anziani col loro tono paternalistico, i giovani col loro atteggiamento furbo.