di Carlo A. Palazzi

Holland Winchester è scomparso. Holland il giovane eroe della guerra di Corea, decorato con la Gold Star. Il cui ardore, una volta tornato nella piccola Contea rurale di Oconee sugli Appalachi, South Carolina, non riesce a trovare altro sfogo che in bevute e risse.

E il solerte sceriffo Will Alexander indaga. Alexander, la cui vita è rimasta confinata in una sorta di mondo di mezzo, dopo aver lasciato la tradizionale attività agricola di famiglia ma senza aver poi potuto terminare l’università. Visto che la sua borsa di studio per meriti sportivi, alla Clemson, gli era stata tolta a seguito di un infortunio al ginocchio. Perciò, le cose, con la bella moglie di origini borghesi, non sono proprio andate come dovevano. Non hanno potuto neppure avere la gioia di mettere al mondo un figlio – per i ricorrenti aborti di lei – che forse avrebbe potuto dare un comune scopo alle loro esistenze.

Stessa sorte toccata agli Holcombe – stavolta per colpa della di lui sterilità – giovane coppia di modesti contadini. Il cui terreno confina con quello dove vivono Holland e sua madre.

Da tali premesse Rash fa partire la sua storia (Un piede in paradiso, La Nuova Frontiera, 2021, titolo originale One foot in paradise, 2002, traduzione di Tommaso Pincio, € 16.90). Che ci viene singolarmente snocciolata, in successione, da cinque dei principali personaggi. Le cui voci si giustappongono in un incastro sapiente. Ed altrettanto singolarmente, quello che a lui Autore sembra interessare maggiormente, non è tanto il farci conoscere la sorte toccata a Winchester e chi ne sia stato l’eventuale artefice – lo schema narrativo non è assolutamente quello tipico di una crime story – ma magari quali ne siano state le cause e ancora di più chi ne sconterà le conseguenze. Rappresentando, in un vivido affresco, il suo piccolo mondo a parte fatto di superstizioni, religiosità distorta, invidia, egoismo, colpa e rimorso i quali dominano le esistenze di gente il cui destino è legato ad una terra comunque in scadenza, essendo, essa, destinata ad essere sommersa dall’acqua. Secondo gli inesorabili piani della potente compagnia elettrica Carolina Power. Il tutto in una precarietà esistenziale che, negli anni ’50 in cui è ambientato il romanzo, ancora dipende totalmente dai caldi e dai freddi, e dalle siccità e dalle piogge.

Un romanzo di persone, dunque, perfettamente analizzate fin nei loro più intimi pensieri, e nei comportamenti e nei dialoghi che tra di esse intercorrono – in ogni caso di poche, scarne parole – tramite una scrittura di una precisione chirurgica e, nel contempo, capace di rara potenza. Ma non solo, giacché per ammissione dello stesso Rash, anche i luoghi dove la storia è ambientata – i medesimi dove egli è nato e tuttora vive – rivestono un ruolo altrettanto fondamentale nell’economia dell’opera. Le colline, i boschi e il fiume con tutti i loro sconvolgimenti stagionali (e gli animali che li popolano) sono costantemente presenti nelle pagine. Hanno plasmato la gente che li abita e con essa formano un insieme praticamente inscindibile.

Nella grande varietà di letterature che caratterizzano quello stato-continente che sono gli USA, la letteratura degli Appalachi occupa un suo ruolo ben preciso e per nulla secondario. E, stranamente, nessuno si era preso, sinora, la briga di farci conoscere lo straordinario narratore che è Ron Rash. Onore a La Nuova Frontiera ed al traduttore Pincio per averlo fatto. E spero, di cuore, che vorranno proseguire con gli ulteriori romanzi del Nostro.

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