misery

E fu così che scoprii Stephen King

Nel 1991 avevo sedici anni e, dopo un’infanzia sommersa dai libri (e dal calcio) non leggevo più già da tempo, per motivi che qui sarebbe troppo lungo spiegare. Un pomeriggio (febbraio? Marzo?) pioveva a dirotto; non avevo compiti da fare o li avevo già fatti; non avevo amici da vedere; m’annoiavo. Rovistai distratto fra gli scaffali e notai un volume né grande né piccolo incastrato laggiù: Misery, s’intitolava. L’autore era Stephen King, un nome non ignoto alle mie orecchie; anni prima – quando ancora leggevo – avevo comperato Cujo, attratto dall’immagine di zanne sanguinanti su sfondo nero, ma mia madre me lo sequestrò e lo fece sparire in un amen. A Misery – spedito da Euroclub proprio a mia madre – mancava la sovraccopertina; nessuna sinossi dunque, nessun commento, solo una scarna tela azzurra con su scritti in caratteri d’argento nome e cognome dell’autore e titolo dell’opera – la ipsilon finale ad allungarsi verso il basso in una specie di svolazzo. Portai il libro in camera con me, chiusi la porta (a quel tempo dovevo considerare la lettura un’attività vergognosa, temo) e attaccai a leggere. Mi fermai solo a cena, dopo aver divorato circa un terzo del libro, col cuore a martello e le nocche bianche; gli altri due terzi li finii l’indomani o al massimo due giorni dopo: per me iniziò ufficialmente l’era/King che oggi, a distanza di oramai venticinque anni, prosegue più viva e florida che mai. In un senso piuttosto concreto posso affermare che tutto ciò che ho scritto e che scriverò nacque allora, io steso sul letto della mia camera nel lago di luce elettrica della lampada, la pioggia fuori, la paura e l’eccitazione e lo stupore della scoperta dentro.

Fu magnifico, ma fu anche uno choc. Per mia scelta o per obblighi scolastici avevo già assaggiato libri coinvolgenti, L’isola del tesoro, Pinocchio, Le avventure del Capitano Grant, Viaggio al centro della Terra, L’Isola misteriosa, Lo scarabeo d’oro, Il fantasma di Canterville, Il vecchio e il mare, Il giovane Holden, La metamorfosi e parecchi altri; ma non sapevo che la lettura potesse trasformarsi in un’ipnosi, in un brusco e assoluto sequestro dal mondo reale. In compagnia di Stevenson o Verne rimanevo assorto però non mi assentavo, non del tutto (anche se il vecchio Long John Silver…); una parte di me restava vigile. Invece leggendo Misery mi tuffai a corpo morto nella storia come uno che si getta in un lago di notte, uscendone solo per voltarmi a controllare la tenda quando udii provenirvi un rumore. Ero terrorizzato, Dio santo! Ero divenuto Paul Sheldon ed Annie Wilkes si trovava vicina, vicinissima, nella mia stanza, alle mie spalle; e da un momento all’altro sarebbe venuta fuori da dietro la tenda, m’avrebbe afferrato per poi calare su di me la sua terribile ascia… e sciacquare il pavimento. In particolare mi colpì la scena in cui Annie ammazza il povero giovane poliziotto giungendo in groppa alla falciatrice come una grottesca valchiria fra le dune nevose; agli occhi di Paul Sheldon, e di chiunque parteggi per lui, Annie diviene là ben più che una psicotica: è una dea.

Quando giunsi all’ultima frase – “Ora la mia storia è raccontata” – avevo in mente due cose: il dispiacere che il libro fosse finito e il desiderio (anzi il bisogno) di procurarmene un altro – di  Stephen King, naturalmente. Cercai subito Cujo ma non lo trovai, mia madre l’aveva portato nella casa giù al paese, altro che inquisizione; mi precipitai in libreria e comperai Christine. Christine m’incantò. Dopo Christine comperai Le notti di Salem, e poi La zona morta, e poi Quattro dopo mezzanotte, e poi Cose preziose, e poi La metà oscura, eccetera eccetera eccetera. Grazie a Misery si riattivò in me il piacere di leggere, un piacere puro e incontaminato, scevro da secondi fini. Non so come King si collocherà nel tempo a livello artistico ma d’un fatto non dubito: è lui il più grande dei cantastorie. Lui racconta con la facilità e la naturalezza con cui respira. Lui lascia fluire le storie come scorrono i fiumi nei loro alvei. Ho letto l’intera sua sterminata produzione tranne la saga della Torre Nera, vale a dire una sessantina di libri; di questi una decina mi hanno deluso, un’altra decina mi hanno lasciato tiepido, una ventina mi sono piaciuti molto, una decina moltissimo e una decina mi hanno sconvolto, commosso, segnato, trasformato; hanno spaccato quel famoso ghiaccio interiore di cui parla Kafka; mi hanno aiutato a comprendere meglio me stesso, gli altri, il mondo (penso alla novella Il corpo nella raccolta Stagioni diverse, penso a Il miglio verde, penso a 22/11/63 o a Cuori in Atlantide o al racconto breve Il braccio, nella raccolta Scheletri). Inoltre, per quanto possa sembrare strano vista la loro crudezza, questi libri mi hanno regalato gioia. Perché un buon libro, seppure narra faccende tristi o drammatiche o spaventose, provoca un incremento di vita, una trasfusione di energia. Tu lo leggi ed è come se avessi fatto benzina e fossi pronto a ripartire lungo la strada impervia dell’esistenza. Un simile innamoramento non mi è mai più scattato in seguito per nessun romanziere. Non so se sarebbe accaduto lo stesso qualora invece di Misery mi fossi imbattuto in un altro libro di King; è possibile, ma è possibile anche di no. Misery si colloca fra le sue opere migliori. Però non ha molto senso chiederselo. Mia madre mi proibì Cujo ma era abbonata ad Euroclub; si dimenticò di ordinare il libro mensile ed Euroclub le spedì un libro a caso; quel libro a caso era Misery e sempre per caso un pomeriggio di pioggia mi capitò sott’occhio, lo tirai fuori dallo scaffale, mi chiusi in camera, iniziai a leggerlo, lo amai. C’è abbastanza caso da credere al destino; e io ci credo.

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Sono nato a L’Aquila nel 1975. Laurea in Giurisprudenza e in Lettere Moderne. Ho pubblicato la raccolta di racconti Terremoto con Terre di Mezzo nel 2010, il romanzo La dissoluzione familiare con Indiana nel 2012 e il romanzo Breve storia del talento con Mondadori nel 2015. Ho inoltre pubblicato svariati articoli su riviste sia cartacee che on line e su siti quali “Il primo amore”, “Nazione indiana” e “Vibrisse”.