Giulio Nardo è un personaggio sorprendente; ti guarda con la faccia pulita da ragazzino mentre ti parla come se avesse trascorso gli ultimi cinquant’anni a studiare. Eppure non stona, non c’è contraddizione, ed è questo che più di tutto meraviglia.
Nato nel 1992 a Padova, ha conseguito con il massimo dei voti la laurea magistrale in Filologia Moderna, studiando contemporaneamente pianoforte al Conservatorio.
Uno così mette in crisi per definizione.
Il manoscritto che l’ha portato in finale alla 31° edizione del Premio Italo Calvino si è aggiudicato a mani basse la Menzione Treccani, assegnata per la prima volta al testo ritenuto linguisticamente più meritevole. E Sinfonia delle nuvole, romanzo non-romanzo che racconta l’inconcludente aspirazione drammaturgica di un padovano diciannovenne, meritevole lo è senz’altro. Il lavoro di Giulio, attingendo tanto dal classicismo più aulico quando dal dialettale più contemporaneo, costringe il lettore a sperimentare un territorio diverso, dove il ritmo dei suoni, la corporeità delle parole e le rappresentazioni dei personaggi, mettono in discussione ciò che siamo abituati a percorrere.
Partiamo senz’altro dal protagonista: Guido. Non credo sia casuale la scelta di chiamarlo con un nome simile al tuo. In cosa siete sovrapponibili e in cosa invece siete diversi?
Guido Alfano è stato costruito assemblando una serie di esperienze dirette e indirette, riflessioni sui caratteri dattorno, profilando variazioni fantastiche sopra i quadri della realtà. Inizialmente, l’opera fu avviata come scherzo (e uno scherzo in gran parte è rimasta), una palinodia privata atta a ridimensionare certe mie aspirazioni drammaturgiche che mi folleggiavano in testa. Poi la materia divenne così tanta e complessa che da una bagatella nacque un libro ordinato e preciso, una critica ontologica a un’esistenza manieristica e svuotata di nerbo, disonesta e impacciata tra le realtà quotidiane – nel mentre il cervello sogna e anela fantasie di elevazione, preferendo tralasciare, sprecare distrattamente le ore preziose del momento attuale e vissuto poiché ritenute (a torto) insignificanti. Così in Guido si attestano vari elementi che ho rielaborato poeticamente e amplificato assegnando loro un significato che nella realtà, probabilmente, non avrebbero mai calcato. Questa indifferenza verso il vissuto è l’errore di Guido e lo dissocia da Giulio. Guido è Giulio per molti degli eventi che mi son passati sottomano e che ho afferrato nella forma letteraria. Le due nature spesso coincidono (si veda l’interesse musicale: entrambi abbiamo scritto alcuni drammi, entrambi abbiamo iniziato gli studi di uno strumento, entrambi l’abbiamo interrotto); eppure non è un’autobiografia.Tutto (compresa la semiseria Prefazione) è altamente inficiato da un ribaltone di ruoli e di valori. I giudizi espressi da Guido non rispecchiano i giudizi del suo autore. Guido è un ingenuo; Giulio non troppo.
Perché hai voluto creare Guido proprio così, diciannovenne, incompleto e inconcludente?
Il suo essere diciannovenne lo piazza nel trapasso da una scuola all’altra, dal liceo all’università, in un momento dinamico ed estremamente fecondo per i suoi studi poetici. Il suo essere drammaturgo lo rende demiurgo della sua materia intellettuale. Scrive un Orfeo ed Euridice, egli vorrebbe essere quell’Orfeo capace di realizzare la statua da amare (e qui il mito si contamina con l’altro del Pigmalione), simbolo della purezza morale, oggetto capace di nobilitare lo spirito meschino del suo artefice. La lotta di Orfeo per la propria affermazione, per strappare l’opera bella dal fiume degli Inferi, dell’oblio, è la trama poetica che scorre parallela a quella, più prosaica, di Guido. Egli s’illude, spera di essere Orfeo, ma non può esserlo fintantoché la sua volontà è limitata a un «desiderio di desiderio […]; una voglia di voglia! E l’ideale? Verrà da sé, un giorno». Non è chiaro quanto creda egli stesso nelle sue aspirazioni. Vorrebbe afferrare un’idea: «Ma dove pescare? L’occhio incappò nell’Eneide e fu tentato di sfogliarla, ma il volume stava su uno scaffale troppo in alto, così Guido rinunciò all’impresa». È il dubbio, uno sterile scetticismo senza sbocchi che costringerà Guido alla resa, all’ennesima (e indifferente) rinuncia.
Una delle caratteristiche principali del tuo manoscritto è il contrasto tra l’aspirazione drammaturgica di Guido e il registro spesso ironico con cui Giulio lo racconta.
Guido Alfano è senz’altro un personaggio tragico, costretto a morire, a sprecarsi nella sua immobilità; ma la tragedia è tutta interna, non traspare nelle relazioni con le cose e le persone. La serietà della sua poetica si rivela esclusivamente nel suo atto di scrittura: controllato, scolpito, veemente, a tratti sublime. Nella realtà? Guido tentenna e di fronte alle situazioni è incapace di reagire, in quanto imbrogliato dai suoi pensieri: vorrebbe compiere un atto, esprimere una risposta, ma non si muove, e tace. In un certo senso, questo è il libro del «vorrebbe». A teatro s’indigna per una guasta messinscena di un Hofmannsthal «sbudellato da una regia cretina»: vorrebbe insorgere, «s’indignò e scattò in piedi. Era in piedi; ed ora? Gridare allo scandalo, al vituperio contro quell’insolente cagnara? E poi? Avrebbe corso, senza dubbio, perché sì l’Arte era salva, ma il povero Guido avrebbe dovuto rimborsare la cassa a tutti, e magari buscarsele. Com’era rischioso! […] Che fare? Sedere, ed aspettare; sedere, e qui tacere». La sua compagna, Carlotta, cerca più volte di stuzzicarlo, nel tentativo di ridestare in lui qualche goccio di energia, persino di gelosia: allora «Guido sbatté la mano sul tavolo; e chi se l’aspettava? […] Ed ora che aveva sbattuto? Bell’impaccio, che non sapeva che farsene della mano; e restava col cipiglio fisso sul bicchiere. Altro che melodramma verista!». E in queste crepe tra istanti di sentimento e repentine rinunce, l’ironico narratore si diverte a intervenire per sottolineare l’inadeguatezza e l’ipocrisia del protagonista, le sue connivenze. L’intento dell’opera vorrebbe essere quello di far sorridere; appunto, vorrebbe; e forse un po’ ci riesce.
L’altro contrasto fondamentale è quello tra Guido (intellettuale poeta) e Carlotta (fisica e concreta). Per quale motivo hai costruito così il loro rapporto di coppia?
Guido è un carattere sentimentale, deve appoggiarsi a un oggetto femminile per un trabocco innato in lui d’amore. Ma anche questo affetto, questo sistema di ideata poesia, non coincide con le aspettative immaginate dal drammaturgo: il suo personaggio, Orfeo, ama Euridice perché essa è opera delle sue mani, ma la Carlotta della realtà non è un prodotto dell’intelligenza di Guido. Carlotta è viva e pulsa di vita propria, una vita non programmata che stride con gli elaborati e un po’ troppo rarefatti pensieri di Guido. Come tutti i personaggi dell’opera, anche il ruolo di Carlotta è volto alla sperimentazione del protagonista e punzecchia l’ingenuo Guido costringendolo a fare i conti con una realtà ch’egli non si attende, una realtà che gli sfugge. È l’incomprensione di Guido per quest’anima senza dubbio semplice e poco sofisticata, ma comunque dolce e bella, a far della sua compagna un contraltare ironico alla sua eccessiva pedanteria poetica. Si aggiunga inoltre che la relazione tra i due s’instaura per accidente; quindi un evento casuale e del tutto imprevisto per Guido, di cui accetta gli sviluppi per la sua insita apatia.
E veniamo a quello che è l’aspetto più sorprendente del tuo lavoro: il linguaggio. Ti è valso la Menzione Treccani, introdotta dal Calvino proprio nella 31° edizione. Il vocabolario del tuo manoscritto è a dir poco degno di nota.
L’utilizzo di un vocabolario ampio, capace di includere sia termini letterari, schietti poetismi e arcaismi da una parte, dall’altra voci ed espressioni contemporanee e di uso quotidiano, mi ha permesso di tratteggiare lo spirito del protagonista, il suo sentimento, le sue contraddizioni, di cogliere il volo dei suoi pensieri. Del resto, non è sufficiente scrivere una buona storia o stilare una descrizione realistica: bisogna imprimere una forma sentimentale ai materiali morfologici affinché la semantica di un suono si amplifichi nel pieno significato. La scansione della frase oscilla tra la compostezza retorica e l’agitazione colloquiale, dettata spesso da clausole, accentazioni ritmiche (endecasillabi, settenari, qua e là quinari) fondamentali a imprimere scorrevolezza e qualità melodica alla prosodia del discorso. Gran parte dei risultati è ottenuta dalla cernita del vocabolario, lavorando con fogli alla mano, effemeridi di lemmi e comparando i possibili valori per esprimere l’immagine sonora, appunto. La mia scelta, all’interno di un testo palesemente raffinato, non esclude le componenti triviali o gergali o colloquiali. Cito alcuni stralci dal capitolo veneziano, durante l’acqua alta: «A Guido piaceva quell’avventura notturna, vi ricamava una gioia ad essere in ammollo con tanti disgraziati come lui, e nessuno piangeva, tutti rane come un giorno di festa. […] E poi su e giù per i gradini sdrucciolosi, che sbucavano e tornavano nel fiume, controcorrente per le vie allagate, le saracinesche prontamente chiuse, i lampioni sul riflesso delle onde. I lampioni! Sorgevano come canne dalla pozza, emanando luci come aromi di sale. Finché una scorbutica non lo rimproverò: – Giovine! Più piano, ciò, ché ci laviamo tutti! – Rompicoglioni; e smorzò la lena. […] Si rimise le scarpe umide e accartocciate, che sgnaccavano sul vetro del signor Calatrava sotto le ginocchia gocciolanti. Ma nella testa gli riluceva il fiume bruno e si dimenava, il suo dorso sinuoso come una vipera dello stagno; e alzò il viso alla città, quando scoccò San Marco e insieme garrì un nottambulo gabbiano».
A questo punto cerchiamo di capire meglio: è possibile inquadrare il tuo manoscritto all’interno di un preciso genere letterario?
Proprio per reagire all’identificazione del genere, poiché il genere non consiste che nella perpetuazione stancante delle formule acritiche che lo caratterizzano, ho tentato un’opera che scampasse allo steccato della categoria: primo, ponendo costantemente in dubbio, cioè fuori posto, le maniere consuete, e un po’ assuefatte, del comporre contemporaneo; secondo, rinunciando alla spettacolarità della trama, all’intrattenimento; terzo, infilando tra le righe un narratore che impedisse l’identificazione appassionata del lettore col personaggio; quarto, frammentando il filo della storia in capitoletti più o meno autonomi, legati tra loro da null’altro che il flebile sentimento del protagonista e il suo atto di scrittura dell’Orfeo ed Euridice. È per questo che mi sono servito del sottotitolo Pagine da un romanzo per presentare il lavoro: il romanzo è mancato. Un romanzo autentico dovrebbe snodarsi attorno ad una quête, dovrebbe situarsi tra un punto d’inizio e un punto di conclusione entro cui far progredire il discorso. Nel mio caso, il discorso c’è, in filigrana, ma si realizza per immaginie, spesso, più che fare un passo avanti ne compie due indietro, fino alla sventata conclusione. Non ignoro le modificazioni che il romanzo ha subìto nel corso del Novecento; la mia critica, se mai sia riuscita, si rivolge all’attuale meccanicità del genere, o meglio dei suoi generi. Sinfonia delle nuvole, oltre che tentare un’analisi parziale del sentimento contemporaneo, ha cercato di stenderne una anche sopra l’elementarizzazione del romanzo.
Prima di partecipare al Calvino ti sei mai chiesto se il tuo componimento potesse risultare pesante o difficile da leggere? In fondo siamo nell’era di Facebook, di Twitter, di Instagram, dei messaggi a effetto e dei social media. Non hai pensato di andare un po’ troppo contro i tempi?
Credo che un’opera interessante debba invitare il lettore a soffermarsi sopra di essa, indurlo a considerazioni critiche, offrirgli stimoli intellettuali e sensibili (sì, l’eufonia di una parola, l’euritmia di un discorso, sono aspetti necessari alla bellezza di un pensiero, contribuendo al diletto dell’approfondimento). Un lavoro che non induca a una rilettura, è forse un lavoro che non meritava d’essere scritto. Il mio testo (ne sono consapevole, e anzi, è stata la mia scelta fin dal principio), sebbene non abbia mai avuto l’intento di precludere a priori il lettore comune, comunque lo sbaraglia: preferisco rivolgermi a chi abbia tempo e pervicacia di leggere e rileggere. Sarebbe un errore fare degli SMS e delle chat una realtà letteraria: tali mezzi (di cui, beninteso, mi servo quotidianamente) vanno considerati come conversazioni veloci o eventualmente curiosi e interessanti stilemi espressivi di una dinamica del linguaggio in atto; mai, però, come modello linguistico per una profonda e congegnata forma di letteratura. La loro formula, del resto, rimane tutto sommato scarna e ripetitiva, sbrigativa. Utilissimi nelle essenziali battute virtuali tra due persone, questi materiali, in una pagina studiata e cesellata nel ritmo e nella significanza, apparirebbero piuttosto come una negligenza, una disattenzione. Gli slogan, i post di Facebook, le chat – sono frammenti elementari di un’espressione più articolata e complessa, stupiscono per la loro facilità e tracimano dovunque per l’ovvietà del registro; ma restano frasi evanescenti, conversazioni rapide e senza peso, senz’altro interessanti sul piano storico-linguistico, eppure incapaci (per il momento) di generare una linea notevole e idonea a veicolare un messaggio autorevole, o ad espandere una espressiva melodia dei foni, cioè a farsi forma. Il lettore abituato a leggere e a fondare il suo pensiero sulle opinioni di tali scampoli del linguaggio, troverà complessa la mia Sinfonia.
Parliamo un attimo di te. Ero presente alla cerimonia di premiazione, ho visto quanto eri emozionato. te la senti di raccontarci come hai vissuto questo quell’eccezionale momento?
Essere invitato a parlare del mio lavoro, a séguito della Menzione Treccani per le peculiarità linguistiche del mio testo, mi ha entusiasmato e commosso, e anche posto sotto il peso della responsabilità: un tale riconoscimento è stato per me importantissimo, come un suggello della mia prova letteraria, o piuttosto un incoraggiamento a proseguire su questo tracciato, ad approfondirlo, ad affinarlo, perfezionarlo. Sinfonia delle nuvole è fatta; un secondo lavoro dovrebbe aver la forza e l’intelligenza di spingersi più in là, di non ripetere pedissequamente il primo.
I tuoi amici e le persone che ti sono più vicine hanno letto il manoscritto? Quali sono stati i loro commenti?
Sinfonia delle nuvole è circolata tra alcuni amici, che hanno apprezzato il mio lavorìo contribuendo a perfezionarlo con appunti critici e suggerimenti. Trovandolo a un tempo lirico e comico, ambizioso e scherzoso, scorrevole nella lettura in virtù dell’accentazione ritmica dei periodi, e senza che io mettessi in rilievo le mie intenzioni prima della loro lettura, mi hanno convinto della riuscita di questa Sinfonia.
Quale futuro vorresti per Guido e quale per Giulio?
Guido Alfano finisce inconcludentemente nello spazio del suo libro; un secondo Guido Alfano sarebbe superfluo. Ma come segnalato nella mia Prefazione, l’intenzione è di proseguire coi quattro tempi delle Sinfonie della Luna, di cui Sinfonia delle nuvole è il primo pezzo. Con Guido Alfano ho additato una serie di porte, ma, per la mediocrità del protagonista e la sua incompetenza, mi sono rassegnato a lasciar chiuse tutte le possibilità che avrebbero potuto offrirgli una scappatoia, una maniera di evoluzione e (diciamo pure) di realizzazione. Guido rimane irrealizzato, un bozzetto della vita. Invece, nel secondo pezzo, servendomi di un nuovo carattere, sarebbe necessario fare un passo avanti e spalancare un po’ di quegli ingressi. L’idea (già in atto) è di realizzare, ora, un’opera rovescia della Sinfonia delle nuvole, cioè dove una erratica vitalità dilaghi irruentemente nell’esperienza della vita, a costo anche di annientarla. Quanto a Giulio… Giulio dovrà arzigogolarsi su più arditi equilibrismi e balzi linguistici. Lo studio della parola e del ritmo, dei loro trapassi da un gesto all’altro, è forse quella tavolozza capace di materializzare le dinamiche e le progressioni dei sentimenti; e io ho bisogno di ampliare questo studio per il nuovo personaggio, più sfaccettato e profondo, più policromo di un Guido. Mi aspetta un bel lavoraccio.
Ritratti dal Calvino, in collaborazione con Premio Italo Calvino
Interviste a cura di Ella May