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Per Glenn Gould (1932-1982), il grande pianista canadese, il più grande pianista canadese di tutti i tempi, l’eccentricità non era un vezzo ma un’urgenza. Animo remoto, sguardo solitario, “ultimo dei puritani” (così si definiva sulla scorta del romanzo filosofico di George Santayana) e primo dei ritrosi: attorno al più (mirabilmente) singolare tra gli esecutori bachiani del Novecento, si sono generate tante, troppe definizioni che mentre lo incasellavano in un bizzarro alveare, ne creavano il mito. Chi è anche solo vagamente appassionato di musica classica conosce il personaggio, sa i vizi e le idiosincrasie, dall’ossessione per le pillole di ogni formato e di ogni colore alla paura smodata delle strette di mano altrui, dalla difesa, al limite della follia, per gli animali alla maniacale ricerca dell’interpretazione perfetta. Le sedute di incisione dei suoi dischi erano uno ‘splendido calvario’ senza soste, lo studio di registrazione trasformato in tempio ardente (il riscaldamento viaggiava a regime anche in estate), i pochi assonnati adepti che ancora in piena notte cercavano assieme all’interprete l’unione irripetibile tra soluzioni tecniche e messaggio artistico. Insomma chi ama Glenn Gould ama la sua eccentricità perché la sua eccentricità è la sua arte.

Ora esce in Italia, nella traduzione di Roberto Lana, Glenn Gould. Una vita fuori tempo di Sandrine Revel (BAO Publishing, pp. 136, euro 23, in libreria dal 21 aprile), già vincitrice per quest’opera del Premio Artémisia per il fumetto: si tratta di uno splendido graphic novel destinato a finire nelle mani degli appassionati gouldiani e non solo. Quasi 130 tavole che apparecchiano, tra le opere finora uscite in Italia, uno dei più fedeli ritratti del pianista canadese, non limitandosi a tratteggiarne una ‘biografia per immagini’ ma addentrandosi anche in alcuni aspetti ‘filosofici’ del suo fare arte.

L’andamento della narrazione non è totalmente cronologico ma concede all’occhio di seguire altre ‘variazioni tematiche’ che vanno dalle oniriche immagini di apertura e chiusura (quelle che provano a far breccia nella mente di Gould ormai in coma) alle parentesi sulle sue ossessioni, dalle ipnotiche immagini sequenziali sulle estasi interpretative (tolte, almeno idealmente, dalla coperta del suo primo disco, le Goldberg Variations nella registrazione Columbia Masterworks, 1955) o sulla gestualità delle sue mani. Le strisce disegnate percorrono molti aneddoti della sua vita, quelli che tutti i fan conoscono: il rapporto di amore e odio per il maestro Alberto Guerrero, il debutto da solista con la sinfonica di Toronto durante il quale Glenn si alzò per togliersi di dosso i peli dell’adorato cane Sir Nickolson of Garelocheed, le scorribande sul lago Simcoe per disturbare i pescatori, la leggendaria sedia dalle gambe cortissime senza la quale Gould non avrebbe mai suonato, l’ossessione per il piano perfetto (prima un Chickering, poi uno Steinway, poi uno Yaamaha), l’amore per Barbra Streisand, le interminabili telefonate notturne agli amici, il tormento per il freddo e le conseguenti immersioni di braccia e mani in acqua strabollente, la mania di canticchiare durante le registrazioni e di accludere, in un tutt’uno necessario, gli scricchiolii della propria sedia nei solchi vinilici in cui giravano le fughe di Bach, il leggendario primo concerto moscovita in cui la sala, che al primo tempo era semivuota, si riempie perché durante l’intervallo l’entusiasmo degli spettatori spinge in platea un mare di gente.

Ne viene fuori un ritratto completo, il ritratto di un gigante della musica, ma anche di “Glenn-pulcino bagnato” come siglava alcune lettere; l’aneddoto, a volte fastidioso nella biografia per parole, è eccezionalmente piacevole nella sequenza disegnata, perché sembra di rivivergli accanto, a quel genio, perché forse solo il disegno, specie quello delle grandi tavole a tutta pagina, può restituire quell’eccitazione, quel senso di particolare isolamento che fu la cifra più profonda della sua arte.

Glenn Gould ha imposto una propria immagine di artista, forse è stato, tra i pianisti, il primo campione dei media; dopo il ritiro dai concerti nel 1964, ha intensificato l’attività in studio di registrazione, ha scritto e condotto programmi radiofonici e televisivi, ha attraversato tutto lo spettro della sensibilità umana, dal serio al faceto, dal tragico al comico. La musica, per Glenn, era contemplazione, era ascensione verso l’assoluto, era questione di vita o di morte. Per questo odiava il pubblico (“una forza del male”, si dice da qualche parte nel fumetto), perché come non si può morire in pubblico, così la via verso la contemplazione dell’assoluto non la si può percorrere in platea, con il rischio di prendere una strada sbagliata. “Adoro la registrazione perché se accade qualcosa di eccezionalmente bello so che questo rimarrà e, se non succede, c’è sempre un’altra possibilità di raggiungere l’ideale”. Di lì, la nascita anche di The idea of North, la trasmissione radiofonica che Gould dedicò al profondo nord, all’aspetto nordico dell’essere umano, allo sprofondamento in se stessi per ritrovare l’assoluto. Sono allora splendide le tavole di Sandrine Revel in cui Glenn cammina nelle sterminate lande di ghiaccio del Canada, laddove non si può trovare altro che se stessi, laddove la solitudine nutre la creatività (“mentre la fraternità collegiale tende a disperderla”).

Il merito forse più grande delle immagini della Revel è quello di aver dato un ‘volto’ alla convinzione gouldiana che “per ogni ora passata con altri esseri umani, si abbia bisogno di un certo periodo di solitudine”; è proprio questa solitudine eroica, di un grigio vitale, a venire fuori dall’opera, nelle lunghe sequenze di immagini prive di parole, dove altro non c’è che il viso di Glenn, la sua bocca storpiata dall’estasi, i suoi occhi chiusi sul mondo perché aperti sulla musica che gli suonava dentro, le sue dita, così agili, così ‘parlanti’, esse sole, una lingua unica, fatta di quell’eccentricità che non ha bisogno di confrontarsi con nessuno, mai; in chiusura di volume, infatti, la Revel sceglie questo splendido sigillo gouldiano: “Davo per scontato che tutti condividessero la mia passione per i cieli grigi. Sono rimasto sconvolto quando ho saputo che alcune persone preferivano il sole”.