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A sinistra: Un giorno di fuoco, Garzanti, prima edizione, 1963
A destra: Beppe Fenoglio (Foto di Aldo Agnelli – Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio, Alba)

Un giorno di fuoco è uno dei più bei racconti del Novecento.

Buttato giù – almeno nelle sequenze iniziali – in una notte dell’estate del 1955 a San Benedetto Belbo, viene pubblicato  nell’ottobre di quello stesso anno, sul numero 70 di «Paragone» per poi trovare collocazione in volume, a soli due mesi dalla morte dello scrittore, nell’aprile 1963, in una raccolta edita da Garzanti (collana “Racconti moderni”; il volume, il cui titolo è proprio Un giorno di fuoco, è in realtà un pugno eterogeneo di testi che Fenoglio non avrebbe sicuramente pubblicato assieme: accanto, infatti, ai cosiddetti “racconti del parentado”, l’edizione presentava il testo di Una questione privata).

Sicuro è che Beppe Fenoglio lo sentisse fremere sottopelle quel racconto, da un anno almeno; l’estate avanti, quella del ’54, annotava sul quadernino nero coi margini rossi che sarà il suo breve Diario:

Prepotente mi ritorna alla memoria il gran fatto di Gallesio di Gorzegno. Debbo rinfrescarmi i particolari. Ci vorrebbe una scappata a Gorzegno: la casa per sempre muta dei Gallesio, dove s’è fermato il fumo degli spari, il castello spettrale, l’acqua violacea della Bormida avvelenata.

E così fa: con l’inseparabile amico Ugo Cerrato (vedi la biografia firmata da Piero Negri Scaglione, Questioni private. Vita incompiuta di Beppe Fenoglio, Einaudi, 2006) va come un segugio sulle tracce dell’antica cronaca, sale l’Alta Langa, annusa l’odore acre dell’epica che ancora – sempre – aleggia su quel paesaggio. La «Gazzetta d’Alba» aveva scritto del “gran fatto” nell’ottobre del 1933, e così Fenoglio cerca l’articolo e poi scava qua e là, tra le voci dell’osteria, quelle che più gli rendono i particolari indispensabili a metter su carta la vicenda.

Nel 1933 Beppe aveva solo undici anni; del fatto aveva sentito dire in casa, dai genitori, forse dagli zii, dalla gente che passava in macelleria e metteva in risma sempre nuovi dettagli, veri o falsi che fossero. E così la storia sedimenta, senza pace, nella testa del ragazzino e poi dell’uomo. Quando poi l’inchiostro prende la forma del Giorno di fuoco, Fenoglio vi trova uno dei gangli della propria narrativa, il racconto delle Langhe dell’infanzia impastato alla malora biblica, da Antico Testamento, che marca l’impossibilità per l’uomo che zappa e bestemmia la terra di affrancarsi dalla sofferenza e dai torti subiti per una vita intera.

Alla fine di giugno Pietro Gallesio diede la parola alla doppietta. Ammazzò suo fratello in cucina, freddò sull’aia il nipote accorso allo sparo, la cognata era sulla sua lista ma gli apparì dietro una grata con la bambina ultima sulle braccia e allora lui non le sparò ma si scaraventò giù alla canonica di Gorzegno. Il parroco stava appunto tornando da visitare un moribondo di là di Bormida e Gallesio lo fulminò per strada, con una palla nella tempia. Fu il più grande fatto prima della guerra d’Abissinia.

L’incipit – santo cielo – è un graffio di orafa perfezione. E per fare quello e tutto il resto del racconto che incede incalzante, Fenoglio asciuga la vicenda reale – che si dispiegava nell’arco di nove giorni – in un giorno (anzi due) di fuoco vendicatore e quasi catartico: senza – è ovvio – giustificare la follia di Gallesio, ma ammirando il vecchio, sentendosi con lui solidale e scorgendo, nella cecità disperata del martirio, l’urlo feroce di bestia (come Achille) di chi si ribella contro tutto e contro tutti, in una carneficina che lo farà soccombere sotto il peso della propria solitudine.

Sono certo che non solo lo ziastro del narratore, ma Beppe medesimo provasse un senso di affascinata ammirazione (e compassione e fratellanza) nei confronti di Pietro Gallesio, della sua “guerra privata”, apice tragico – scoccato in un collinare mezzogiorno di fuoco – di tutte le “questioni” che la malora “langhigiana” lasciava sospese. Gallesio spara, Gallesio uccide, il Gallesio del racconto fa fuori anche più gente di quella detta dalle cronache (il fratello in realtà venne solo ferito, mandò al camposanto il nipote – questo sì – e pure il parroco, ma giorni dopo l’abbrivio della ‘follia’). A Fenoglio non interessa raccontare la verità storica ma quell’altra verità, tanto più profonda quanto più la finzione si fa ingorda di impossibilia (qualcuno dice, a proposito dei carabinieri accorsi per fermare l’omicida: “Cosa dici cento? Saranno duecento. Ci sono anche tutti i carabinieri di Millesimo”), quella verità che sta dentro alle zolle di Langa e alle teste dei contadini; così gli spari di Gallesio, niagaricamente giganteggianti negli adynata della penna e nella voce narrante del ragazzino “con l’orecchio applicato a una fessura dell’impiantito, proprio sopra la cucina dove mia zia, mio ziastro ed i vicini dell’ufficio postale stavano parlando” del gran teatro di Gorzegno, quegli spari – dicevo – sono di Gallesio l’urlo di rabbia e di disperazione, forte e straziante quanto tra le pagine di Un giorno di fuoco la realtà è mesmerizzata dalle voci, dai resoconti via via più epici e meno aderenti al vero che dipingono un uomo-eroe che in solitaria fa strage di nemici.

Di Gallesio, nel racconto, non gli vedi mai la faccia; solo si sentono le revolverate che fanno crepitare il cielo come un lenzuolo teso al vento, solo si annusa il fumo della balistite che cresce sopra al fienile sulla collina dirimpetto. E lo ziastro del racconto parteggia per Pietro, non perché abbia lo spirito dell’assassino ma perché ne esalta il coraggio, l’intrepido colpo di fiato che lo ha fatto decidere per il gioco finale contro la malora, quello che ti porta dritto nella fossa:

Quando si fanno certe cose, dopo bisogna morire. Certe cose si fanno proprio perché si è sicuri di aver dopo la forza di morire. Guai se non fosse così. Guai a Gallesio!

La forza di crepare è la vittoria sulla vita maledetta. Un gioco serissimo e disperato, incomprensibile al capitano albese al quale, significativamente, sono affibbiati altri termini appartenenti alla sfera semantica del gioco (festa, spiritoso; “Questa però non la sapete: che Gallesio ha ferito il capitano dei carabinieri, quello di Alba. Gli ha scarnificato una tempia. Tanto così più in centro e lo fa secco. Disse mio ziastro: L’ha tolto da far lo spiritoso. Credeva d’essere ad Alba alla festa dello Statuto?”), altri termini, però, irrimediabilmente opposti e irriducibili alla partita tragica che Gallesio gioca con se stesso.

***

 Affascinato io stesso dalla figura di Gallesio, ho fatto una piccola ricerca tra le pagine dei giornali dell’epoca, in particolare della «Gazzetta d’Alba» e della «Stampa», scoprendo che il quotidiano torinese per ben cinque volte torna sulle vicende del ‘pazzo di Gorzegno’ dedicandogli diversi trafiletti e stelloncini anonimi.

Intanto, i fatti non avvengono in giugno ma in ottobre, in un lasso di tempo straordinariamente lungo, che va da venerdì 6 a mercoledì 18 ottobre 1933. Pietro Gallesio si chiamava in realtà Felice – ironia della sorte – e sono motivi economici, in prima battuta, ad armare la sua doppietta nei confronti del fratello Costanzo che tempo addietro gli aveva fatto un prestito, mai restituito, di tremila lire.

Costanzo viene ferito gravemente ma, grazie alle cure prestategli all’ospedale San Lazzaro di Alba, non muore: siamo al primo giorno di fuoco. I carabinieri vanno a cercare Felice ma quello riesce a fuggire tra le onde delle colline, mangiato dai boschi. Poi, quando la tensione si sgonfia e i carabinieri tornano in caserma, paradossalmente, Felice riprende i lavori dei campi – è tempo di vendemmia, ma lui si dà da fare anche il sabato e la domenica – e passa le giornate a staccare grappoli d’uva col figlio e alcune donne che di tanto in tanto osano consigliarlo di consegnarsi alle autorità. Lui guarda per un attimo negli occhi quella gente che conosce bene, sistema la carabina sulla spalla di modo che non gli dia noia durante la fatica, e poi torna a lavorare. Il lunedì 9 ottobre, attorno alla cascina di Costanzo, si fanno però di nuovo sotto i carabinieri; alcuni di loro danno la scalata al secondo piano della casa in cui Felice si è trincerato con le armi in pugno. Quando il vicebrigadiere Dellaudi Giovanni (in un altro articolo Delaude, e in un altro ancora Dellandi, n.d.r.) tenta di entrare dalla finestra, viene ferito, mentre l’attentatore si dà alla macchia nella campagna circostante. Ancora una volta per cinque interi giorni vive come una bestia nella natura, nutrendosi di roba che trova in giro e dormendo dove capita.

Quindi si fa vivo di domenica, scende in paese e si sistema in una casa di sua proprietà che era disabitata da quattro anni. È lì seduto alla finestra dalle parti della parrocchia, dopo pranzo; aspetta che il parroco dica messa alle 15, quindi schiude le persiane e i vetri, e punta la rivoltella in direzione di don Giovanni Gallo che si sta recando, “accompagnato dal fedele Carlin” (il suo cane?), a confortare un malato grave. Lo colpisce alla testa e l’uomo perde subito i sensi. Sono le 17,30 circa. Forse è perché il prete aveva fatto qualche chiacchiera con i carabinieri e solo Dio sa cosa Felice crede che abbia detto. L’uomo di Chiesa agonizza ancora fino all’ora di cena, confortato dal Vescovo e da una chiostra di sacerdoti accorsi per gli ultimi sacramenti, e poi muore.

Fatto sta che Felice Gallesio, fatto fuori l’Arciprete, sparisce per altri tre giorni.

Il mercoledì 18 ottobre (in un altro articolo viene indicato il 19; ma sono propenso a credere che la data esatta sia il 18), alle sei del mattino l’arma del settantenne Felice riprende a cantare il suo urlo. Entra in casa del fratello Costanzo – che è ancora all’ospedale – e si trova davanti il nipote Alessandro che ha 39 anni (in un altro articolo dicono 40) e sei figli (dalle parole della «Gazzetta d’Alba» pare invece che Alessandro sia andato a cercare lo zio nella casa in paese). In ogni caso lo ammazza su due piedi e si va a mettere alla finestra con la doppietta sulle ginocchia. Arrivano di nuovo i carabinieri, Felice prende la mira e spara: a farne le spese è Grossi Decio la cui nuca perde sangue in gran copia e viene trasportato d’urgenza in un letto d’ospedale. A fargli compagnia, poco dopo, è anche il comandante dei carabinieri di Alba, Carlo Cagiati, anch’egli gravemente ferito in testa.

Felice Gallesio, per i giornali, ormai non è più Felice ma è solo ‘il pazzo di Gorzegno’. O il mostro.

I carabinieri non mollano e lui, nella camera dove ha freddato il nipote, neppure. La casa è accerchiata, il Gallesio chissà cos’ha in testa. Sparano da una parte e dall’altra, vanno avanti per quattro ore. Vengono ferite altre persone: il carabiniere Giuseppe Racca, che è lì lì per perdere un occhio, il maresciallo di Pubblica Sicurezza di Cuneo, Chiaffredo Ferrato, e il giornalista Marco Sannino di Alba, colpito a un braccio. Ogni tanto Gallesio la pianta lì di schiacciare il grilletto e guarda il corpo senza vita del nipote, le bave di sangue, e tutta una vita andata al diavolo. Lo tocca dentro con le scarpe per vedere se si muove. Forse piange sulle guance e nella barba, ma poi asciuga tutto e torna con gli occhi fuori dalla finestra.

Felice non è più un uomo, è la bestia che urla combattendo la propria personale guerra con la vita e con la malora. Probabilmente non ha più munizioni e non ha più voglia di vivere. Così molla tutto e gli assedianti lo prendono dopo più di dodici giorni di follia. A ucciderlo sono i colpi esplosi dal brigadiere Ferdinando Blantrate della squadra mobile di Cuneo, e dal tenente Marcuzzi, comandante la Tenenza di Bra.

Quella sera stessa, uno dei carabinieri che ha partecipato all’assedio di Gallesio scrive alla famiglia una cartolina che giunge ad Agrigento tre giorni dopo, il 21 di ottobre. Evidentemente il fatto era stato così grande che l’uomo non poté aspettare il giorno successivo e subito lasciò correre la penna sul piccolo rettangolo di carta:

Nel momento in cui dopo un conflitto di oltre quattro ore abbiamo liberato la società da un pericoloso malfattore, che ha pagato con la vita i suoi delitti e Dio gli usi misericordia, il mio pensiero più caro alla mamma ed a Pina, le cui preghiere sempre mi preservano da ogni male. Un abbraccio

Luigi

Cartolina pazzo di Gorzegno carabiniere Beppe Fenoglio Un giorno di fuoco Centro Studi Beppe Fenoglio estratto
Cartolina pazzo di Gorzegno carabiniere Beppe Fenoglio Un giorno di fuoco Centro Studi Beppe Fenoglio
Per gentile concessione dell’Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio, Alba

Intanto il vescovo di Alba va in ospedale, al San Lazzaro, a portare il suo conforto ai feriti.

Giovedì mattina – è il 19 ottobre – si svolgono i funerali del parroco don Gallo, e il giorno successivo quelli di “Sandrino”, il trentanovenne Alessandro Gallesio.

Tra venerdì 20 e sabato 21 ottobre c’è un via vai di autorità tra i cameroni del nosocomio di Alba: ci vanno due generali, il Grossi, comandante la divisione militare di Cuneo, e il Casavecchia, Ispettore della 1° zona RR. CC.; ci vanno l’onorevole Gastone di Mirafiori, il Podestà, il Segretario politico, il Pretore, il colonnello comandante il 38° Reggimento Fanteria e numerosi altri. Arrivano telegrammi e un encomio solenne del Ministero della Guerra per il brigadiere Dellaudi (o Delaude) Giovanni, il primo tra i feriti da Gallesio.
Nella mattina di venerdì 20, dopo 10 giorni di cure, anche Costanzo Gallesio lascia l’ospedale. Probabilmente qualcuno lo riaccompagna in auto alla cascina in cui suo fratello lo ha ferito e poi è morto, abbattuto dalle rivoltelle dei carabinieri. Nessuno, al momento delle dimissioni dall’ospedale, gli ha ancora detto che suo figlio Alessandro è stato freddato dallo zio impazzito.

La malora non ha mai fine.

***

Ecco gli articoli dell’epoca:

Da «La Stampa» di mercoledì 11 ottobre 1933
Ferisce a fucilate il fratello ed un carabiniere recatosi ad arrestarlo

Alba, 10 notte.

Gravi dissensi erano sorti per motivi di interesse tra i due fratelli Felice e Costanzo Gallesio, da Gorzegno. Costanzo, che ha 72 anni, aveva prestato anni or sono tremila lire al fratello minore Felice, il quale però non si era mai curato di saldare neppure parzialmente il debito. Stanco di attendere, recentemente, il Costanzo aveva fatto citare il debitore, provocando il suo rancore. Si è avuto ora l’epilogo della triste vicenda: armatosi di un fucile e di una rivoltella, Felice si è recato a casa del fratello e gli ha esploso vari colpi, ferendolo gravemente. Rientrato quindi nella propria abitazione, ha sparato contro i carabinieri recatisi ad arrestarlo, ferendo uno di essi, dopo di che, è riuscito a fuggire, riparando nella campagna.

Da «La Stampa» di lunedì 16 Ottobre 1933
L’ultimo delitto del pazzo settantenne.
Uccide il parroco di Gorgegno [sic] con un colpo di rivoltella

Alba, 16 mattino.

Dopo intense ricerche per circa una settimana, il delinquente di Gorgegno [sic], Felice Gallesio, è ancora latitante. Non solo, ma un altro delitto è stato commesso dal pazzo settantenne che, dopo avere ferito gravemente con quattro fucilate il fratello Costanzo per questioni di interesse, e poscia con un colpo di fucile il brigadiere dei Carabinieri Dellaudi Giovanni comandante la stazione di Czavanzana, ha ucciso oggi il parroco del suo paese, reverendo don Gallo Giovanni. Dopo la funzione religiosa del pomeriggio, avvenuta verso le ore 15, il Gallesio, atteso il sacerdote di ritorno dal vespero, appostato dietro una finestra, sparava un colpo di rivoltella e uccideva il povero sacerdote, e ciò per il solo fatto che egli aveva avuto, venerdì sera, un colloquio col capitano dei Carabinieri della compagnia di Alba.
È impressionante il fatto che questo vecchio di 70 anni sia riuscito a sfuggire alle solerti battute della Polizia che non può condurre ad esito felice le sue ricerche per le difficoltà dei luoghi e la titubanza dei paesani.

Da «La Stampa» di mercoledì 18 ottobre 1933
Il Vescovo di Alba visita all’ospedale i feriti di Gorzegno

Alba, 17 notte.

Quest’oggi, accompagnato dal presidente delle Opere pie cav. uff. Bertosso e dal dottore Delia-Valle, mons. Luigi Grassi si è recato a visitare all’ospedale S. Lazzaro il brigadiere Dellaudi e il fratello del pazzo settantenne Gallesio Felice, che come è noto, sono stati vittime del delinquente la settimana scorsa. Con grande interesse tutta la popolazione della zona segue la vicenda di questa triste tragedia che ha messo sottosopra il paese di Gorzegno. Numerosi carabinieri sono stati mobilitati per l’arresto del Gallesio che, se non è ancora stato acciuffato non tarderà a cadere nelle mani della Polizia. I carabinieri stanno ora svolgendo assidue battute per i boschi circostanti all’abitato del ricercato che, privo ormai di viveri, non tarderà ad essere arrestato. Domani mattina alle 10 avranno luogo i funerali di don Gallo che domenica è stato ucciso con un colpo di rivoltella dal criminale.

Da «La Stampa della sera» di mercoledì-giovedì 18-19 ottobre 1933

Tre nuovi delitti del pazzo di Gorzegno
Uccide un nipote e ferisce gravemente il Comandante dei Carabinieri di Alba e un milite

Alba, mercoledì sera.

Stamane, verso le ore 6, un altro delitto è stato compiuto dal pazzo settantenne Gallesio Felice. Entrato nella casa del fratello Costanzo, che tuttora si trova degente all’ospedale, uccideva con un colpo di fucile il di lui figlio Alessandro, di 39 anni, padre di sei figli. La polizia, supponendo che il delinquente non fosse fuggito, dopo qualche ora procedeva ad una perlustrazione della casa stessa, e un’altra disgrazia doveva poco dopo succedere. Infatti, durante la perlustrazione stessa, dal fienile partiva un colpo di fucile sparato dal delinquente che colpiva uno dei militi della Benemerita, tale Grossi Decio, in pieno nella nuca, cagionandogli delle ferite gravi. Il ferito veniva urgentemente trasportato all’ospedale dal dott. Gallo di Gorzegno, ed ivi veniva ricoverato con prognosi riservata.
Si apprende all’ultimo momento che anche il Comandante della Compagnia del Reali Carabinieri di Alba, capitano Cagiati, è stato ferito gravemente dal pazzo di Gorzegno, e trasportato all’ospedale di Alba. In questo momento continua l’accerchiamento della casa in cui il pazzo è ricoverato e si spera di catturarlo.

Da «La Stampa» di giovedì 19 ottobre 1933
Il pazzo omicida di Gorzegno è stato ucciso
Le vittime del criminale: 2 morti 7 feriti

Alba, 18 notte.

Oggi finalmente, dopo dieci giorni di drammatiche vicende — protagonista il pazzo settantenne Felice Gallesio di Gorzegno — si è chiuso il triste bilancio dei delitti in forma tragica, come era prevedibile. Dopo aver ferito come è noto il fratello Costanzo, il brigadiere Dellaudi ed ucciso il parroco del paese, Don Gallo, oggi il criminale ha accresciuto la catena di delitti, freddando con un colpo di fucile il nipote quarantenne, Alessandro, padre di sei figli, rifugiandosi poscia, senza essere scorto, sul fienile, d’onde ha ferito con una fucilata il carabiniere Decio Grossi ed infine il capitano Cagiati: sono caduti ancora feriti dagli Infallibili colpi del delinquente il carabiniere Giuseppe Racca, il maresciallo di Pubblica Sicurezza di Cuneo Chiaffredo Ferrato ed il giornalista Marco Sannino di Alba. Dopo quattro ore di conflitto, il pazzo è caduto sotto i colpi del brigadiere Ferdinando Blantrate della squadra mobile di Cuneo, e del tenente Marcuzzi, comandante la Tenenza di Bra.

Da «La Gazzetta di Alba» di giovedì 19 ottobre 1933

La sacrilega ed esecranda strage del mostro di Gorzegno

La penna sembra rifiutarsi di registrare così detestabili fatti che hanno gettato nel lutto e nella costernazione il paese di Gorzegno e la Diocesi nostra tutta, togliendovi la pace per ben dodici giorni. E la mente rifugge dal pensare che l’assassino fosse consapevole di quanto faceva e non si trovasse piuttosto in un momento di pazzia, per le tremende responsabilità davanti a Dio ed agli uomini!

Nove furono le vittime. Due morti: il Rev.mo Arciprete D. Michele Gallo ed il quarantenne Gallesio Alesssandro, nipote dell’uccisore; il Capitano dei RR. CC. Caginti Cav. Carlo Comandante la Compagnia di Alba; il Vice-brigadiere Dellandi Giovanni, Comandante la stazione RR. CC. Di Cravanzana; il carabiniere Racca Giuseppe, da Col di Tenda; l’altro carabiniere Grossi Cencio di Garessio; il Maresciallo di P.S. Ferruto Michele da Cuneo, ed il giornalista Sannino Mario della nostra Città.

***

L’assassino è Gallesio Felice, sessantottenne che in un primo tempo ferì, dopo lunga premeditazione, il fratello Costanza, settantaduenne, per motivi d’interesse di poca entità. Ferito alla testa e prontamente ricoverato al nostro Ospedale S. Lazzaro è in via di completa guarigione.

Ciò avvenne il 6 ottobre [un venerdì, n.d.r.]. L’assassino si tenne prima latitante, poi continuò i suoi lavori di vendemmia in un suo piccolo podere, non deponendo mai dalle spalle la carabina, noncurante delle raccomandazioni del figlio e di alcune donne che con lui vendemmiando lo consigliavano di tanto in tanto di andarsi a consegnare.

Il lunedì seguente vennero a Gorzegno per arrestarlo il Vice-brigadiere Dellandi con due carabinieri da Cravanzana, i quali diedero coraggiosamente per una finestra, la scalata alla casa, dove si era chiuso armatissimo il pazzo delinquente, e stavano entrando nella scala che dal primo doveva portarli al secondo piano, quando quattro colpi di fucile del Felice ferirono gravemente alla testa il Vice-brigadiere che trasportato all’Ospedale S. Lazzaro è in via di guarigione.

Ed il Gallesio Felice allora si rendeva latitante per i folti boschi della regione, senza che le diligenti ricerche dell’Arma dei RR. CC., della P.S., e delle Autorità tutte potessero rintracciarlo.

La domenica poi riusciva a rifugiarsi in una casa di sua proprietà sita nel paese, casa da 4 anni inabitata, e da una finestra, attendeva che la popolazione uscisse dalla funzione della sera, e mentre il Parroco passava nella via, accompagnato dal fedele Carlin, per recarsi a visitare un infermo grave per cui era chiamato d’urgenza, gli sparava un colpo di fucile e riusciva a rendersi una altra volta latitante, fuggendo nei boschi.

Questo avvenne verso le 17,30. Il povero Parroco, colpito alla testa, perdeva subito l’uso dei sensi. Nella sua breve e penosa agonia durata tre ore fu assistito dal nostro amatissimo Vescovo, S.E. Mons. Grassi, avvertito sollecitamente dai fratelli Signori Baronis, mentre altre macchine si recarono sollecitamente per il medico, per i sacerdoti vicini, subito accorsi per gli ultimi SS. Sacramenti.

In diocesi furono molto apprezzati l’affetto e la premura pastorale di S.E. nell’accorrere al capezzale del morente Parroco. La sua presenza amata e la sua parola pastoralmente confortatrice hanno servito assai a riportare un po’ di sollievo e pace nella costernata popolazione. La parrocchia e la diocesi intera Gliene sono riconoscenti e sempre più attaccate.

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Ma non fu ancora sazia l’avidità sanguinaria del nostro mostro.

Le ricerche della P.S., dei Reali Carabinieri si fecero più intense, in seguito ai propositi feroci che si facevano sempre più palesi e si moltiplicarono addirittura in numero ed in intensità ieri mercoledì [il 18, n.d.r.], giorno della sepoltura del povero ed amatissimo Arciprete.

Al mattino verso le sei, il vecchio aveva affrontato nella sua casa ed ucciso con un colpo di fucile il proprio nipote Alessandro Gallesio, di 39 anni, padre di sei figli. Dopo questo nuovo delitto i carabinieri hanno iniziata una caccia serrata intorno alla casa ove si era nascosto. Dai colpi di fucile e moschetto sparati dal vecchio sono rimasti feriti i carabinieri, il maresciallo, il giornalista ed il bravo, coraggioso sig. Capitano Comandante la Compagnia RR. CC. di Alba, Cav. Cagiati, che con intrepido coraggio e attaccamento al dovere, seppe condurre a felice esito la non facile impresa, assecondato fedelmente dai numerosi Carabinieri ed Agenti di P.S., che non si risparmiarono davanti all’evidente grave pericolo.

A tutti la riconoscenza commossa del paese e della vallata.

Finalmente, alle tre circa del pomeriggio, mentre il Gallesio tentava ancora di sparare dalla finestra della camera ove era il corpo esanime del povero nipote, una fucilata lo ha colpito in pieno e lo ha abbattuto.

Un senso di sollievo grande si è tosto diffuso in paese e di riconoscenza per quanti si sono adoperati per toglierlo dall’incubo penosissimo degli esecrandi delitti.

***

Vero plebiscito di dolore, di affetto, di riconoscenza, fu dato mercoledì all’amato Parroco dalla popolazione di Gorzegno che accorse in massa, dai paesi vicini e specialmente da Cortemilia, patria del Defunto, che lo amavano, stimavano ed apprezzavano, per le sue elette doti di mente e di cuore, profondamente costernati di averlo perso così dolorosamente.

Ben 60 sacerdoti, quasi tutti Parroci, vollero presenziare ai funerali, con tutte le Autorità del paese, anzi della Vallata.

Molte SS. Messe di riparazione e di suffragio furono celebrate; i fedeli furono e saranno invitati a pregare per l’ancor giovane Parroco; per il povero Sandrino, di cui si svolgeranno domani i funerali; pei feriti che generosamente caddero mentre adempivano il loro dovere, onde abbiano pronta e perfetta guarigione; per la buona e cara famiglia così duramente provata, onde trovi nella fede il cristiano conforto nell’immane dolore.

Al Paese di Gorzegno preghiamo la quiete abituale così dolorosamente turbata.

Tutti generosamente perdoniamo, come avrebbe perdonato Cristo Nostro Signore; come pel primo ha fatto S.E. Rev.mo Mons. Vescovo ed ha paternamente consigliato che facessimo. E per il feritore ancora preghiamo!

Nella tranquillità riaqquistata (sic), gettiamoci, riuniti in un cuor solo ed in un’anima sola, nella via del bene, dell’amore, della concordia, per ridonare ai nostri cuori, alle nostre famiglie, al nostro piccolo ma tanto caro Paese, la pace: tanta, tanta pace!

Da «La Stampa» di sabato 21 Ottobre 1933
Lo stato dei feriti del pazzo di Gorzegno

Alba, 20 notte.

Per tutta la giornata di ieri e quella di oggi, all’ospedale S. Lazzaro della nostra città si sono recate autorità della zona per portare la loro parola di conforto ai numerosi feriti di Gorzegno. S. E. il generale Grossi, comandante la divisione militare di Cuneo e l’Ispettore della 1° zona RR. CC., generale Casavecchia, sono giunti da Cuneo in automobile per visitare le vittime del delinquente settantenne e, dopo essersi vivamente compiaciuti del loro alto comportamento in difesa della società, hanno quindi proseguito per Gorzegno per un sopraluogo nel quale hanno voluto rendersi personalmente conto della gravità del tragico conflitto. Telegrammi da ogni parte sono giunti all’indirizzo dei valorosi militi, caduti gravemente feriti sotto i colpi del criminale.
Un encomio solenne del Ministero della Guerra è pervenuto al brigadiere Delaude Giovanni che, come è noto, fu il primo ad essere ferito nel severo adempimento del proprio dovere.
Il Vescovo di Alba, l’on. Gastone di Mirafiori, il Podestà, il Segretario politico, il Pretore, il colonnello comandante il 38° Reggimento Fanteria e numerosi altri, hanno portato il loro saluto affettuoso ai degenti, coi quali si sono intrattenuti in affabili e lunghe conversazioni. Lo stato di salute dei feriti è alquanto soddisfacente: il Gallesio Costanzo, fratello del criminale, non ancora avvisato dell’uccisione del figlio, ha abbandonato stamane l’ospedale. Il brigadiere Delaude ha già dato ottimi segni di miglioramento, come pure il capitano Cagiati, ferito gravemente alla regione frontale, è completamente fuori pericolo. Il carabiniere Racca, colpito gravemente all’occhio sinistro, verrà operato domattina e con tale operazione si spera di salvarlo dalla cecità. Per nulla allarmante il carabiniere Decio Grossi e il giornalista Marco Satinino, colpiti il primo in piena nuca, il secondo al braccio destro.

Da «La Stampa» di mercoledì 25 Ottobre 1933

Miglioramento dei feriti vittime del pazzo di Gorzegno

Alba, 24 notte.

Il car. Carlo Cagiati che come è noto era rimasto ferito nel conflitto di Gorzegno, dopo una settimana di degenza ha lasciato l’ospedale di S. Lazzaro in seguito a un rapido miglioramento. Tutti gli altri feriti ne avranno ancora per una quindicina di giorni tranne il giornalista Sannino che lascerà l’ospedale venerdì o sabato. Esito felice ha avuto l’atto operatorio cui è stato sottoposto il rag. Racca rimasto, come è noto, ferito all’occhio sinistro. Un’altra visita del Vescovo e di numerose altre personalità ha sollevato quest’oggi l’animo dei degenti, assistiti continuamente dai familiari.

Da «Il Biellese» di martedì 14 Novembre 1933

In memoriam

Di questi giorni, nella Chiesa Parrocchiale di Gorzegno (Diocesi di Alba), parata a lutto, presente Mons. Vescovo di Alba. verrà celebrato un solenne Funerale di Trigesima a suffragio dell’anima eletta del sacerdote Gallo D. Michele, già parroco di Gorzegno per 17 anni, e caduto vittima del proprio dovere, colpito da mano assassina mentre si recava a visitare un ammalato.
Crediamo doveroso ricordare al clero Biellese la nobile figura di questo zelante sacerdote, perché il defunto ebbe agio di esercitare il sacro ministero anche fra noi, quale Collegiale straordinario al nostro santuario d’Oropa, durante la stagione estiva.
Di carattere buono e mite, tutto dedito al ministero parrocchiale, caritatevole coi poveri, pieno di slancio e di entusiasmo per ogni opera buona, egli era grandemente amato dalla sua popolazione, che ora lo piange, tanto più addolorata dalla sua tragica fine.
Memori del vincolo che ci univa al povero defunto, invitiamo il clero biellese a suffragarne l’anima, associando le proprie preghiere di suffragio a quelle che verranno solennemente innalzate in Gorzegno, in occasione dei prossimi Funebri Trigeminali.
Alla sua addolorata sorella sig.na Ernestina Gallo, residente a Valdengo, presentiamo in modo particolare l’espressione delle nostre più sentite condoglianze.

Desidero infine ringraziare Bianca Roagna e Elisa Di Paola del Centro Studi “Beppe Fenoglio” di Alba per la gentilezza e la disponibilità dimostratami le molte volte che ho chiesto il loro aiuto.