Draghi Riccardo Corsi Nottetempo recensione Verri

I Draghi di Riccardo Corsi sono custodi di sapienze remote. Ma validissime. Sono bestie mitologiche come quella infilzata da San Giorgio, quella alchemica che si va a cacciare sulla statua di Bruno in Campo dei Fiori, o quella attorcigliata, nell’orto dell’Eden, ai rami dell’albero del male e del bene. E pare che i draghi di Corsi mostrino proprio la via del bene, checché l’Occidente abbia sempre scorto in essi “la parte ostile, ctonia, della natura”. Sono bestie filosofiche, i draghi, aforismi di saggezza ancestrale spinti nella terra come di un bimbo le mani che affondano generose in giardino. Sono la “nostalgia di un paradiso”, forse non perduto, ma precipitato chissà dove, per recuperare il quale occorre apprendere di nuovo una lingua, la parola del drago, appunto.
Leggendo il libro riceviamo un invito, a rimuovere “la rete virtuale, il cadavere, che dagli schermi avvolge la terra” e a cambiarla con la corrente, che “è una coincidenza a cui partecipano i corpi con gioia, quando l’anima del linguaggio fluisce nel cuore delle cose”. Quasi potremmo dire che Corsi predichi (e auspichi) una metamorfosi, nel periodo storico corrente, delle condizioni di verità, quelle condizioni che Foucault diceva fondassero l’episteme, i paradigmi di base della nostra cultura. Ad avvolgere il mondo mettiamo allora un drago, facciamolo camminare, spingiamolo a volgere la groppa e a mostrare ogni suo lato; non la sola bocca di fiamme, che sempre ha intimorito i campioni della razionalità cristiana, ma pure la coda, istoriata di sapienza, balzante di qua e di là con grazia antica, figlia dell’imprevisto che rifugge dal “spiegare la creazione come un meccanismo”.
Attraverso accostamenti analogici spiazzanti, una fitta testura di segni, una qualità materica della parola, Corsi torna fuori a rivedere le stelle, “sentendole palpitare nella mano, come pesciolini”, perché la notte è un rimedio, sanatrice dell’impazienza e del chiasso, e come il mare – per dirla con Melville – è un avanzo del caos da cui uscimmo, tutti, un tempo. E sotto agli astri, o con gli occhi arrotondati dalle onde, l’autore reca in mano i suoi raccontini, difficili e profondi, stupendi come un bocciolo di poesia, che ripetono cose già mille volte dette (come i sassi d’amore di Gino Paoli), eppure nuove, ancora da ridire perché nessuno le ha mai ascoltate a sufficienza. È un libro che redime, che segna le distanze per un’umanità sostenibile, che indica l’orizzonte sempre mobile, che richiama alla quiete, al tempo del cuore e ai luoghi dell’anima. Abitati, se possibile, come li abiterebbe un gatto.