Se penso a un libro che ha segnato un prima e un dopo nella mia vita, soprattutto rispetto allo sguardo verso la scrittura e la letteratura, penso al poema che più ho amato e con il quale ho passato più tempo: l’Adone di Giovan Battista Marino, pubblicato per la prima volta in una pregiatissima edizione nel 1623 a Parigi.

Lo lessi in vacanza, nell’estate del 2018. Se devo essere del tutto sincera era in viaggio di nozze e avevo comprato l’edizione di Russo in e-book perché mi vergognavo all’idea di portarmi alle Hawaii due volumi di 5.124 ottave. L’edizione di Pozzi me la regalò il compagno di mia madre per Natale, con la dedica: “A Maddalena, lettrice di cose impossibili, de qua vere dici potest: Spiritus durissima coquit. Alexander magister, mense dec. A.D.MMXVIII”.

La prima lettura fu come quella di un romanzo ed ero perseguitata, giustamente, dall’idea che Marino mi prendesse in giro: ascoltavo nella mia testa le vicende di Venere e Adone nel Giardino del Piacere, l’atto amoroso, la morte di Adone, ucciso da un cinghiale innamoratosi di lui, e infine i giochi funebri in suo onore, quando la voglia di leggere era un po’ calata perché senza Adone non mi andava più di andare avanti, ma poi c’era Venere e mi andava bene uguale. Ho capito solo dopo che non era Adone né Venere ad affascinarmi, ma la lingua, le parole, lo stile. Non capisco proprio quest’ansia dello “spoiler”, parola orribile: è così bello leggere l’Adone che non c’è questo rischio, perché non ha nessuna importanza sapere come va a finire, per questo lo ribadisco: Adone muore. Ma non si soffre, perché si è presi dalla leggerezza, dal gioco, dalle parole, dal suono, dalle metamorfosi, dall’ironia, dal virtuosismo. Le scene più attese e che rimangono più impresse, oltre a quella del cinghiale, per chi voglia andare a leggersele direttamente, si trovano nel canto ottavo, dedicato ai Trastulli. L’incontro erotico è preceduto da un meraviglioso bagno, prima del quale Venere, vergognosetta, si mostra e si cela, vela e svela, analogamente a come opera Marino a livello testuale, in un gioco nel quale prende le frasi antiche e le nasconde nel testo mescolandole, allo scopo di renderle irriconoscibili. Il testo maschera e smaschera – tema che si ritrova a livello diegetico, con bellissimi travestimenti dei personaggi, come per esempio nel caso di Adone che si traveste da donna, senza grande sforzo, in realtà, dato che fin dall’inizio si presenta con una delicatezza femminile da antieroe passivo.

Non sono affatto d’accordo con chi dice che Marino è noioso: Marino non è affatto noioso, è moderno e divertente, e soprattutto riesce sempre a sorprendere. Per questo sogno un mondo in cui lo si possa leggere a scuola, per davvero. Infatti mando alle e agli insegnati che conosco un file con le ottave più spinte, promettendo di portar loro le arance, nel caso finissero in galera, ma soprattutto curiosa di sapere se piaccia alle studentesse e agli studenti. Si potrebbe iniziare da questi meravigliosi versi:

«Amor gli stringe e stringe i corpi e i cori

con lacci indissolubili e tenaci.

Del nodo che temprò que’ fieri ardori

fè catene le braccia e groppi i baci,

e con la propria benda ai vaghi amanti

forbì le membra gelide e stillanti.» (Adone, VIII, 89, 3-8).

Tutte le fotografie presenti nell’articolo sono di Maddalena Fingerle